Ci sono stati momenti in cui il dibattito parlamentare di ieri ha assunto i connotati di una kermesse pacifista. Molti esponenti dellUnione, nei loro interventi, si sono trincerati dietro larticolo 11 della Costituzione e hanno esaltato la svolta nella politica estera italiana nel nome della filosofia del «ritirismo». Una svolta che certamente cè. Però poi si scopre che, nonostante questa ventata di retorica, i militari impegnati in Afghanistan hanno, ormai dal 4 maggio, delle nuove regole dingaggio che non sono quelle proprie dellazione di peacekeeping. E così è successo che, pur decidendo la fine della presenza a Nassirya, tutti i partigiani della discontinuità hanno votato il rifinanziamento di una missione in cui le truppe, anche quelle italiane, hanno la possibilità «di rispondere al fuoco in modo più pesante», cioè di combattere. Non lo sapevano? Cè da dubitarne.
Nel nome di un patto di potere, questo è il governo Prodi, i «maestrini di pace» si sono prestati al vecchio gioco dellequivoco. Molto vecchio. LItalia partecipò a Tempesta nel deserto nel 1990-91 derubricando una guerra giusta ad una «operazione di polizia internazionale», come la definì lallora presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Nel 1998 laeronautica militare bombardò in Serbia e in Kosovo dietro la formula della «difesa integrata» (a Palazzo Chigi sedeva Massimo DAlema). Ora ci risiamo. Il centrosinistra non può decidere di aprire una frattura nella Nato, ma non può ammettere di essere impegnato nel conflitto contro linsorgenza dei talebani e, dunque, resta unito piegando il linguaggio alle esigenze della sua compattezza. Gli antagonisti dellUnione hanno fatto finta di niente, gli «occidentalisti» hanno preferito tacere e sorvolare sugli schiaffi che hanno direttamente ricevuto dal ministro degli Esteri.
Se non ci fosse stata leccezione di Paolo Cacciari forse non se ne sarebbe accorto nessuno. Nella storia di Montecitorio non era mai successo che un deputato si dimettesse nel corso di una seduta e fosse conseguente fino in fondo, risolvendo in modo drastico un problema di coscienza. Chi lascia il mandato per essere coerente fino in fondo merita rispetto. Deve riconoscerlo anche chi non condivide le sue idee. Ma il discorso va aldilà del giudizio su un comportamento individuale. In questo caso è stata infatti sottolineata linsostenibilità di un patto di potere, costruito raccogliendo tutto e il contrario di tutto. La tecnica parlamentare prevede gesti soft, come assenze giustificate o improvvise uscite dallaula. Cacciari ha scelto la trasparenza contro lequivoco, la sobrietà contro la retorica.
LUnione è la casa dellambiguità, del non detto, del contrasto tra le intenzioni annunciate e i comportamenti reali. Sul piano politico è quello che si chiama massimalismo: enunciazioni roboanti e pratiche compromissorie, allo scopo di tenere insieme forze, tradizioni e interessi che, in una situazione di chiarezza, sarebbero divisi. Però quel che colpisce di più, in questi giorni in cui si discute essenzialmente del conflitto in atto nel mondo tra terrorismo e democrazie, è che gli strappi vengano compiuti da parlamentari dellarea antagonista, cioè quellarea che sta imprimendo il suo segno allattività del governo. Non bastano le concessioni. Non bastano i cedimenti, di cui la posizione su Israele è lemblema.
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