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Casa Marconi, il trampolino al posto della porta

nostro inviato a Budapest

Unghie nere e occhi in lacrime, un po’ tigre e un po’ bambina: Maria Marconi se l’è goduta così. La prima medaglia sua, la prima dell’allegra famiglia dei tuffi. Trampolino poco nobile (quello da un metro che non fa specialità olimpica) ma quanto ha sofferto per questo bronzo. Maria è la più piccola (22 anni ad agosto) della Marconi family: lei e due fratelli, Nicola e Tommaso, che pensano solo ai tuffi, l’allenatore Domenico Rinaldi che prima era compagno ed ora è marito della mamma loro. Poi c’è Tommasino, il figlio di Rinaldi: un altro che ci prova a guardare il mondo a testa in giù.
La vita della famiglia Marconi è tutta un tuffo e, ogni tanto, qualcuno porta a casa la medaglia. Maria, finanziera come la Filippi, ma inversamente proporzionale nelle dimensioni (m. 1,58 per 54 kg) ne aveva conquistata una in coppia con Tania Cagnotto, socia sua nel sincro dal trampolino dei tre metri, nel 2002 a Berlino. Poi più. La vita atletica, da quel momento, le ha girato contro: infortuni uno dietro l’altro. Cinque tatuaggi disegnati in ogni parte del corpo (schiena, caviglia, sedere, pancia, polso) non sono serviti a scacciare il malocchio. Dopo i mondiali di Barcellona uno strappo, dopo le olimpiadi di Atene un’operazione al menisco della gamba destra, a febbraio un altro fermo per problemi alla schiena. Tutti a dirle: sei brava. E lei a pensare: avessi un po’ di fortuna in più.
L’anno scorso si è detta: e se smettessi? Ci ha ripensato ed ora eccola lì, con la medaglia che, appena ricevuta, le è caduta dalle mani e si è rotta. Quasi volesse sfuggirle, come in gara. Terminata la semifinale con il secondo miglior punteggio, Maria è andata in tilt al secondo salto di finale: tuffaccio avvitato e carpiato, votacci, tutto da rifare o dimenticare. Fino all’ultimo, quando si è trovata a mezzo punto dal bronzo e dalla russa Anastasia Pozdnyakova: lei si è infilata nell’acqua da campionessa, l’altra un po’ meno, mentre l’oro è andato alla svedese Lindberg.
Bronzo è stato, e gli occhi di Maria si sono sciolti in lacrime, nascoste da un lungo l’abbraccio con Rinaldi, in quel momento allenatore, punto di riferimento, patrigno. Maria si è aggrappata a tutto. Ha ricordato le unghie nere come quelle memorabili della Griffith, campionessa dell’atletica. «Sono il mio portafortuna». La grande paura del secondo tuffo. «L’ho sbagliato anche nelle eliminatorie, perché in allenamento mi ero fatta male e mi è rimasta la paura». Ha ripetuto tutta una storia per dire: ci sono anch’io. Non solo la Cagnotto. Con Tania sono andate negli Stati Uniti, una a Houston e lei a Phoenix. Volevano studiare nei college e tuffarsi, soprattutto tuffarsi. Tania ha resistito un anno. «Io poco più di un mese. Non mi piaceva l’ambiente». Ci ha riprovato anche con suo fratello Tommaso, tre mesi a Miami. Ma l’Italia è un’altra cosa. E ieri in tribuna c’era tutta la famiglia urlante e festante, come capita nella grande casa di Roma quando sono otto, due cani, i gatti. Loro urlavano e lei urlava: «Mi vien la tachicardia».

Il cuore che batteva, ma stavolta felice.

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