La casa della Romano negli scatti di Vicario

Igor Principe

Tutto è rimasto come lei l'ha lasciato. Le carte, i quadri, i libri, la sedia bianca della cucina sulla quale si sedeva più spesso che altrove. Come a voler fissare definitivamente i segni di una vita.
Tutto è rimasto come lei l'ha lasciato, nella casa di via Brera in cui ha vissuto per circa mezzo secolo, lasciando tracce sulle quali si è incamminato, con la sua macchina fotografica, Alessandro Vicario. Che dell'inquilina di quell'appartamento, Lalla Romano, propone una sorta di ritratto indiretto, costruito come un mosaico con le immagini delle cose che le sono appartenute.
Ne è nata una mostra, «Paesaggi d'assenza», che torna a Milano (biblioteca rionale Dergano-Bovisa, via Baldinucci 76, fino al 22 giugno) dopo avervi debuttato un anno fa. La organizza l'associazione «La camera chiara» e ne è curatore Antonio Ria, secondo marito della scrittrice e suo erede. Ed è stato proprio un incontro casuale con Ria, dettato dal lavoro, che ha portato Vicario a scoprire un mondo domestico popolato da cartoline, suppellettili, libri su libri, vecchie foto. «Lalla Romano non era tra le scrittrici che conoscessi benissimo - racconta l'autore -. Ma quando ho visto quegli interni ho voluto fotografarli. Ho colto un legame con una precedente serie di immagini, “Frammenti domestici tra memoria e oblio”, realizzate nel 1999 a casa di mia nonna dopo la sua morte». Due ambienti opposti: completamente spoglia quest'ultima, zeppa di cose la prima. «Ma unite da una componente domestica e privata che parla di loro pure se in loro assenza - prosegue Vicario -. Sono due facce della stessa medaglia. Nel caso di Lalla Romano, il vuoto, evidente ed esplicito, emerge da tutte le sue cose, che d'altro canto sono il segno tangibile della sua presenza». Ogni ambiente ha suscitato nell'autore sentimenti diversi, costringendolo anche a sfide con la tecnica del mestiere. Gli scatti risalgono al 2003; mese di agosto, momento in cui Milano si fa silenziosa.

Cosa che sarebbe piaciuta alla protagonista, che nell'introduzione del suo «Nei mari estremi» rivelava la sua idea di scrittura come un «cogliere, dal tessuto fitto e complesso della vita qualche immagine, dal rumore del mondo qualche nota, e circondarle di silenzio».

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