di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
«Quella casa romana noi l’avremmo comprata volentieri, perché lì dentro c’erano tutti i ricordi di una vita. Quella di zia Anna Maria, ma anche quella della nostra famiglia. Album di foto d’epoca, carteggi, lettere, documenti. Così facemmo presente la nostra intenzione al senatore di An Francesco Pontone, nei giorni dell’apertura del testamento. Ma lui, rammaricato, ci spiegò che purtroppo l’appartamento era già stato promesso a un parlamentare del partito. Magari era solo una scusa, chi lo sa. Ma purtroppo, qualunque fosse il motivo, la nostra disponibilità all’acquisto venne frustrata ». Da Paolo Fabri, nipote di Anna Maria Colleoni, la donna che prima di morire decise di nominare Alleanza nazionale come suo erede universale, arriva qualche altro retroscena a margine della «conquista» del tesoretto di immobili, terreni e titoli da parte dell’ex partito di Gianfranco Fini. La casa «promessa a un deputato », e dunque non vendibile agli unici parenti della signora Colleoni, non è peraltro l’unico ricordo insolito di quei giorni che è rimasto in mente a Fabri, romano di nascita, ma da anni residente a Bergamo. Proprio nella città lombarda, infatti, l’architetto ebbe modo di prendere conoscenza di un altro episodio che riguardava il destino di quei beni, che sua zia desiderava fossero devoluti a finanziare la «buona battaglia». Quella che An, raccogliendo il retaggio del Msi, avrebbe nelle sue speranze dovuto proseguire sotto la sapiente guida di Gianfranco Fini, leader a cui la Colleoni era affezionatissima. È questo il famoso «onere» al quale, secondo i delusi del partito nato a Fiuggi e gli stessi parenti della generosa donna, Alleanza nazionale sarebbe stata vincolata nel momento in cui accettò l’eredità. Un onere che, da quanto sta emergendo nelle ultime settimane, sarebbe stato interpretato in modo a dir poco elastico nel caso,per esempio, dell’appartamento che il partito di via della Scrofa ha ereditato a Montecarlo, al 14 del boulevard Princesse Charlotte. Il «buen retiro» monegasco che la Colleoni comprò nel 1962 non era nemmeno inserito nel testamento con cui la donna lasciò tutto ad An, ma una volta appreso della sua esistenza, il partito ha fatto valere il suo titolo di erede universale. Salvo poi, nel 2008, liberarsi per appena 300mila euro di quella casa, svenduta (300mila euro) a una finanziaria off-shore con sede ai Caraibi, da questa alienata a un’altra finanziaria «gemella» che, infine, l’avrebbe affittata a Giancarlo Tulliani, «cognato» di Gianfranco Fini, al termine di un valzer che secondo il tesoriere di An Francesco Pontone altro non è che una «inspiegabile combinazione». Tra gioielli immobiliari messi in saldo e «quasi parenti» che si ritrovano inquilini, l’affaire monegasco non profuma insomma di «buona battaglia». Un odore che invece il nipote della Colleoni ricorda di aver cominciato a sentire almeno per la lussuosa casa romana dei Parioli, quella di via Paisiello che la donna affittava a diplomatici e manager e che era la sua fonte di reddito. «Ricordo che dopo che An ne entrò in possesso – racconta Fabri – mi capitò di parlare di quella prestigiosa residenza con l’onorevole Tremaglia, che è di Bergamo e che ho il piacere di conoscere. Mi disse che aveva l’intenzione di ospitare nell’appartamento di via Paisiello una sede di rappresentanza degli italiani all’estero, da sempre una delle sue battaglie. Naturalmente mi mostrai entusiasta di questa ipotesi, perché ero certo che mia zia ne sarebbe stata contentissima ». E infatti la destinazione d’uso prevista da Tremaglia per l’immobile pariolino di An ereditato dalla Colleoni non andò mai in porto. «Il partito gli rispose picche, e così Tremaglia abbandonò a malincuore il suo proposito. Fu un vero dispiacere, e un punto interrogativo in più sul modo in cui quell’eredità è stata gestita», taglia corto l’architetto Fabri. Insomma, da un lato una casa che sarebbe stata «promessa » al politico in cerca di un tetto. Dall’altra un’immobile negato al parlamentare che voleva farne una sede «istituzionale ».
Sullo sfondo, la casa di Tulliani a Montecarlo, con la compravendita «coperta» dalle finanziarie off-shore per nascondere il nome del nuovo proprietario. Se la «buona battaglia» è già perduta, chiedere un po’ di trasparenza per un patrimonio che era di tutto il partito forse è aspettarsi troppo.