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"Le case dei grandi italiani? salviamole dagli italiani piccoli"

Elena Croci ha recuperato come tenente dell'Esercito i tesori d'arte dispersi in Afghanistan. Oggi ha fatto della comunicazione culturale la sua missione

"Le case dei grandi italiani? 
salviamole dagli italiani piccoli"

Massimo M. Veronese

Ha frequentato la scuola di guerra, è diventata ufficiale dell'Esercito, ha lavorato in Afghanistan per recuperare i tesori dell'arte dispersi dalla guerra. Elena Croci ha fatto della comunicazione culturale la sua missione: dirige una società che si occupa di questo, insegna alla Cattolica, ha scritto un libro «Turismo culturale, il marketing delle emozioni» appena uscito per la Franco Angeli editori che è la nuova bibbia per chi vuole diventare manager del turismo. Sulle case dei grandi italiani, quelli che hanno fatto la storia del nostro Paese, a volte abbandonate a se stesse e mai valorizzate come all'estero ha le idee chiare. Lavora a palazzo Radetzky, a Milano, dove tre secoli fa c'erano gli appartamenti del maresciallo. E sa come si vive a casa di un mito.

Che tipo di tesoro sono le case dei grandi?

«Sono un pezzo di memoria: raccontano la vita quotidiana, le abitudini, le debolezze di chi ha fatto grande il nostro Paese. Li rende umani. Si entra in un'epoca, ci si immedesima in una vita».

Come mai all'estero sono luoghi di culto e qui no?

«Perché hanno capito che il turista è cambiato e alla classica teca con cartellini ingialliti hanno sostituito modalità espositive più moderne, interattive».

Perché gli stranieri hanno più rispetto di noi della propria cultura?
«In Francia o in Germania, ma non solo, c'è più senso di appartenenza, sentimento che in Italia è molto relativo. Basta guardare soltanto le polemiche sui preparativi del 150° dell'Unità d'Italia...».

Cosa offende di più di questa situazione?

«Sapere di avere un altissimo potenziale per attrarre turismo anche internazionale e non sfruttarlo».

...senza dimenticare le scuole...
«...che potrebbero immergersi nelle vite di personaggi che studiano solo sui banchi».

Non è che è colpa anche del disinteresse degli italiani?
«Sicuramente. Ma da qualche parte bisogna iniziare a cambiare, oggi non vale più solo lamentarsi».

Perché gli italiani amano così poco i grandi italiani?

«Perché non li conoscono abbastanza, perché abbiamo un innato senso di inferiorità e perché siamo esterofili. E questo ci frega».

I grandi italiani sono più amati in Italia o all'estero?

«Sicuramente all'estero. Quando frequentavo la Sorbona avevo professori che sapevano tutto sui nostri grandi. Mi guardavano come dire: ma tu non sei orgogliosa di essere italiana?...»

E lei...

«Facevo finta di niente. E mi sforzavo di parlare un francese perfetto senza alcuna accento italiano...».

Perché gli italiani hanno la memoria così corta?
«Perché sono degli insicuri. Pensano che se parli di calcio, piuttosto che di "noiosa" cultura, ti fai più amici. Mi fido molto più dei giovani".

Cosa manca di più la passione, le idee o i soldi?

«I soldi e le idee nuove».

Le case meglio affidarle a un ente, agli eredi o al ministero dei beni culturali?
«Perché non tutte e tre insieme? Anche se...».

...anche se?
«Credo che siano i privati a doversi attivare, soprattutto quei giovani imprenditori che hanno capito che il turismo culturale può essere un asset fondamentale per la crescita del paese».

E che interesse hanno?

«Fanno un ottimo investimento. E qualcosa utile per il proprio Paese».

Perché la nostra cultura è così provinciale?
«Perché lo sono gli italiani».

Come si fa a rendere moderna la tradizione?
«Usando una moderna comunicazione, facendo interagire le persone con la storia e insegnando alla gente che non bisogna avere paura della cultura, perché è un mezzo fantastico di comunicazione».

Per lavorare nella cultura meglio essere conservatori o progressisti?
«Essere equilibrati e realisti».

Più difficile recuperare tesori in Afghanistan o difenderli in Italia?

«In Afghanistan la vita media e di quarant'anni e sono in guerra da almeno trenta. Non hanno tempo di avere una memoria storica».

...ma rispetto a noi?
«Loro almeno non lo fanno apposta..

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