Case popolari e asili nido riservati alle famiglie residenti da 15 anni

Case popolari e asili nido riservati alle famiglie residenti da 15 anni

Dare la precedenza ai lombardi doc. Per accedere non solo agli alloggi pubblici ma anche agli asili nido, ai servizi sanitari e alla dote scolastica. La Lega Nord torna all’attacco e chiede di introdurre una clausola cruciale, triplicando il numero di anni di residenza necessari per accedere ai bandi.
In sostanza, bisognerà vivere e lavorare in Lombardia non più solo da 5 anni ma da 15 anni. Si segue quindi l’esempio del Veneto che aveva già alzato il tiro. Il Carroccio lombardo ha già presentato tre progetti di legge al Consiglio regionale ed è sicuro di non incappare in problemi di ricorsi al Tar o intoppi giudiziari. Almeno sul criterio della residenzialità. Già perché potrà fare leva su un precedente: la Corte Costituzionale aveva infatti bocciato il ricorso sulla presunta illegittimità del criterio dei 5 anni di residenza per accedere ai bandi delle case popolari. E di fatto la clausola è diventata legge. Punto per la Lega.
«Con queste tre iniziative legislative - spiega il capogruppo Stefano Galli - siamo tornati alle nostre origini. Si sappia che la Lega non ha mai dimenticato i motivi per cui è nata. Siamo consapevoli che ci troveremo di fronte a un ostruzionismo trasversale».
Già i leghisti in Regione avevano presentato un progetto di modifica dello Statuto lombardo per inserire il principio di residenza nell’erogazione dei servizi. Con le tre proposte di legge su casa, asili e servizi sanitari si va oltre e si passa direttamente ai fatti. Per di più si chiede maggior proporzione nelle quote delle case da assegnare: «Sia fissata una quota massima del 5% per l’assegnazione degli alloggi Aler agli extracomunitari». Il consigliere Fabrizio Cecchetti, presidente della commissione Bilancio e primo firmatario, fa infatti notare che la situazione è cambiata rispetto a qualche anno fa: «Gli stranieri sono aumentati tantissimo e con queste misure si va a riequilibrare una situazione assurda che fino ad oggi ha visto premiare gli ultimi arrivati a discapito di chi risiede da sempre in Lombardia e si trova paradossalmente scavalcato in graduatoria».
Ovviamente le proposte susciteranno una battaglia pesante in Consiglio regionale. Soprattutto perché 15 anni di residenzialità sembrano troppi: «Nulla osta all’aumento del limite degli anni - rilancia Cecchetti - La proposta deve ancora passare al vaglio delle commissioni e dell’aula e verrà migliorata e corretta. Gli anni potrebbero diventare dieci come venti».
I colleghi del Pdl smussano i toni e, per lo meno, chiedono che il criterio della residenza non sia esclusivo o discriminante. Può semmai essere un «aiutino» per ottenere punteggi migliori nelle graduatorie. Ciò che andrà tenuto in considerazione è anche e soprattutto la condotta, non la data sul certificato di residenza.
Luca Garuffi, capogruppo del Pd, critica il fatto che con i 15 anni di residenza la Lega penalizzi sia «contro la mobilità territoriale che avviene per motivi di studio o di lavoro o qualsiasi altro fatto che induce un cittadino, italiano o straniero, a risiedere in Lombardia.

Ma è proprio di questo che forse i leghisti non si sono resi conto: la loro proposta va a colpire chiunque, anche cittadini italiani».
Ma i leghisti insistono e sostengono che non ci sia «nulla di male nella volontà di aiutare i lombardi, soprattutto in una situazione così difficile».

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