Milano Di tutti i palazzi di giustizia d’Italia, a Elisabetta Casellati - sottosegretario alla Giustizia - è toccato ieri quello di Milano, dove la protesta dei magistrati si annunciava più compatta. E puntualmente, appena la Casellati - rodigina, docente di diritto canonico - ha preso la parola come rappresentante del governo, sessantacinque toghe si sono alzate e hanno abbandonato platealmente l’aula magna.
Se l’aspettava, professoressa?
«Questa protesta era stata annunciata, noi fino all’ultimo avevamo sperato in un pentimento operoso, visto l’impegno che il governo sta profondendo per fare funzionare la giustizia e che io ho elencato nel mio intervento».
Ma i magistrati milanesi il suo intervento non l’hanno neanche sentito. Dispiaciuta?
«Sì. Rammaricata, direi. Alzandosi ed andandosene, rifiutando nel modo più clamoroso di stare a sentire quello che il governo aveva da dire, hanno rinunciato unilateralmente al dialogo. Ma l’aspetto che va sottolineato è che la norma che ha sollevato questa protesta, la legge sul cosiddetto processo breve, non è una iniziativa del governo ma del Parlamento. È l’autonomia del Parlamento a venire messa in discussione da questa protesta».
Ma il governo ha annunciato di appoggiare la legge sul processo breve. E il presidente della Corte d’appello di Milano, nel suo discorso odierno, ha detto che accorciare i processi per legge è come dichiarare per legge che tutti i malati sono guariti.
«Con tutto il rispetto per il presidente Pesce, non è un esempio calzante. Se vogliamo fare un paragone, allora diciamo che il cittadino davanti alla giustizia è un malato che viene ricoverato in ospedale per un numero di anni indeterminato, e che magari alla fine si sente dire che non aveva niente. La sua vita è rimasta sospesa per anni o per decenni, e tutto poi finisce in una bolla di sapone. Io dico: potrà ben un cittadino sapere, quando affronta un giudizio, quanto quel giudizio può durare? Io credo che a volte si dimentichi che l’obiettivo dell’amministrazione della giustizia è rendere un servizio al cittadino. Dobbiamo ricordarci che la magistratura non è un fine ma un mezzo, uno strumento per il cui tramite si costruisce il servizio giustizia».
Magari i giudici sarebbero meno diffidenti se non ci fossero di mezzo i processi al premier.
«Ogni volta che si parla di un provvedimento si tira fuori questo sospetto. Sgombriamo il campo dai pregiudizi, e vedrete che tutto diventerà più sereno».
Oggi a Milano hanno partecipato alla protesta magistrati di tutte le correnti, anche notoriamente moderati.
«Non tutta la magistratura era d’accordo. Io non penso che l’apicalità rappresenti il popolo dei giudici».
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