nostro inviato a Roccaraso (LAquila)
Alla ricerca di un «minimo comun denominatore» sul futuro del centrodestra, con qualche abbozzo di intesa sulla legge elettorale. Tutti comunque sicuri che il destino del governo Prodi sia ormai segnato dall'esito del conclave di Caserta. E cioè dalla rinuncia alle riforme. Sembrava quasi un governo ombra quello che ieri si è ritrovato sul palco di Neveazzurra, la kermesse di Forza Italia che ormai da tre anni apre l'anno politico del centrodestra. Il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa, il vicecoordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto e Gianni Alemanno di An - moderati dal deputato azzurro Sabatino Aracu che è anche l'animatore dell'iniziativa - si sono trovati d'accordo sul consiglio dei ministri che si è tenuto nella residenza borbonica. «L'area riformista è andata incontro ad una colossale sconfitta: andavano lì per suonare la sinistra radicale e sono stati suonati», ha sintetizzato Cicchitto. «Un flop, un boomerang - ha aggiunto Alemanno - visto che era stato annunciato come il punto di svolta e invece si è risolto come un'agenda di rinvii». Il riferimento è alla rinuncia a trattare le riforme più difficili come quella delle pensioni. Sicuro di una prossima fine di Prodi anche Renato Brunetta, economista di Forza Italia che ha spiegato il «falso in bilancio» contenuto nella finanziaria 2007, cioè le stime sballate sul rapporto deficit-Pil. Anche per Cesa a Caserta c'è stata la dimostrazione «che il governo Prodi è al capolinea». Secondo Cesa, Caserta è stata anche la dimostrazione «della crisi emblematica del sistema politico italiano». E cioè di «un bipolarismo che crea coalizioni che non possono stare insieme». E qui le analisi non sono le stesse. L'Udc conferma il no alla federazione delle libertà, anche quando dal pubblico si levano le voci di chi vuole i tre partiti «uniti». Cesa è anche l'unico che non designa come futuro candidato premier Silvio Berlusconi, soprattutto se l'avversario dovesse essere Walter Veltroni.
Le novità però sono altre e consistono in una certa disponibilità di Forza Italia, Alleanza nazionale e Udc (assente la Lega nord) su una ricetta elettorale. Quella, per la precisione, proposta dal politologo Roberto D'Alimonte e che prevede, tra le altre cose, un premio di maggioranza al Senato dato su base nazionale e non più regionale. Il «minimo comun denominatore» secondo Cicchitto c'è.
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