É una giornata epocale e Gianni Alemanno quasi si commuove a ricordarlo. Poco dopo le 7, con larrivo delle ruspe al campo Casilino 900, è cominciato latteso sgombero: il piano per una capitale più sicura e dignitosa può avere finalmente inizio. Lavvio delle operazioni di trasferimento di circa 50 famiglie (soprattutto bosniaci, ma anche kosovare e serbe) si sono svolte senza intoppi. Del resto è il Comune a occuparsi di un tetto. «Questo campo esiste da 40 anni durante i quali non é stato fatto alcunché - dichiara il sindaco -. Attraverso un percorso di dialogo condiviso iniziamo oggi lo sgombero che terminerà a febbraio. Porteremo queste famiglie in campi autorizzati dove ci saranno percorsi di legalità e inserimento lavorativo. Non stiamo trasferendo pacchi da un punto della città a un altro: prendiamo, invece, limpegno di accompagnare queste persone in un percorso di piena integrazione. Tutti quelli che prenderanno questi pullman oggi hanno fatto una scelta di legalità e di lavoro, per questo dobbiamo offrire loro delle opportunità».
Loro, emozionati, alcuni addirittura spaventati ma con la speranza di iniziare una vita diversa e migliore aspettano di salire a bordo dei pullman della Croce rossa che li porterà al campo attrezzato di via di Salone. Tra loro cè Hakija: «Basta fango e sporcizia, vogliamo un futuro migliore per i nostri figli. La sera siamo costretti a farli studiare con le candele accese perché non abbiamo luce. Tutta Europa giudica questo campo una vergogna - aggiunge -. Vivo qui da 16 anni ho sei figli nati a Roma, e sono contento di andar via anche se quando demoliranno la nostra casa, che ho costruito con le mie mani, sono certo che mi scenderà qualche lacrima».
Cè chi, invece, il campo proprio non lo vuole lasciare come unanziana che attira lattenzione del sindaco Alemanno, e minaccia fatture malefiche. «Da qui non me ne vado. Ho 60 nipoti, per favore non dividete la nostra famiglia, altrimenti vi mando una maledizione che ve la ricordate...».
Vive qui da quasi 40 anni Arco, un anziano che ieri ha seguito da lontano le operazioni di trasferimento dei primi nuclei familiari: «Non vorrei andarmene, ci sono tutti i ricordi di una vita». Gli fa eco Julia seduta allingresso della sua baracca. «Le cose qui sono cambiate negli ultimi anni - spiega - ma sinceramente mi peserebbe andar via. Spero che quel giorno non arrivi».
A via di Salone invece latmosfera è tesa. «Ma quale accordo. Ci hanno costretti ad accettare il trasferimento a Castelnuovo di Porto», tuona Toma Halilovic che mostra il documento con cui chiede assistenza allavvocato a cui si è rivolto per chiedere tutela in vista del trasferimento. Oggi, però, anche lui dovrà lasciare il container di via di Salone dove vive con la sua famiglia rom. In molti continuano a nutrire dubbi perché temono di perdere la loro «casetta», anche se i responsabili della Croce Rossa hanno assicurato che le chiavi del container rimarranno nelle mani degli attuali assegnatari, e anche per larrivo dei primi 50 rom dal Casilino 900. «Molti bambini sono nati qui, abbiamo le nostre cose. Che ne sappiamo che i nuovi arrivati non siano persone violente che magari ci rubano le nostre cose?», si lamenta Shevko, un anziano bosniaco con i baffoni spioventi.
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