Casini chiede meritocrazia. Poi piazza due "figli di"

Sia ben chiaro, essere «il figlio di... » non è una colpa. Preveniamo telefonate, lamentele, richieste di rettifiche. Un papà illustre non è un marchio d’infamia. Almeno fino a prova contraria. Certo, quando il piazzarli diventa un’abitudine, la faccenda diventa sospetta, come denuncia al Giornale Francesco Toscano che, con una mail al direttore, si qualifica come componente dell’Ufficio politico nazionale «Rosa per l’Italia», la costola uscita dall’Udc con Tabacci, Pezzotta e Baccini. La faccenda è una di quelle che in Italia sono la normalità più che un’eccezione. «Pier Ferdinando Casini predica bene, ma razzola male. Anzi malissimo. Sogna una repubblica che privilegi il merito, ma persegue una politica che premia il nepotismo e l’affermarsi della casta». Povero Casini che proprio ieri in un’intervista alla Stampa si preoccupava di discendenze ed eredità altrui. «Non si pone il problema della futura leadership del Pdl - sentenziava con la sicumera di sempre - perché il Pdl non ha futuro senza Berlusconi». Se lo dice lui. In casa sua, intanto, i «figli di... » fanno carriera. Il casertano Gianpiero Zinzi è il coordinatore nazionale dei giovani udc. Zinzi, chi era costui? Basta un clic si internet per scoprirlo. Anzi per scoprire che papà Domenico è proprio l’ex presidente del consiglio regionale della Campania, ex sottosegretario alla salute nel governo Berlusconi e oggi deputato dell’Udc. Che male c’è? Chiedetelo a Casini che in un’intervista al Corriere dell’università e del lavoro, parlando dei nostri atenei ci andava giù pesante. «Il corpo docente è anziano, con troppi generali e poca truppa. E domina il nepotismo». Giustissimo. Parole sacrosante. E se anziché di università parlassimo di partiti politici? Guidati da anziani, con troppi generali e poca truppa. Dominati da nepotismo. Visto? Tutto torna. E poi si chiedono perché la gente non vada più a votare. O lo faccia turandosi naso e occhi. Magari anche le orecchie per non sentire più le prediche, le parole al vento, la condanna della casta. Quella altrui, mai la propria. «Berlusconi ha un’idea insana della democrazia», tuonava Casini all’assemblea dell’Udc. Ma intanto i rampolli danno la scalata al partito. Uno dei punti fondamentali del movimento giovanile è «l’investimento in un nuova classe dirigente». Come non condividere? Giusto, basta con le raccomandazioni, i vecchi arnesi, i premi a chi non lo merita. Ci vogliono «leadership virtuosa, cabina di regia dotata di poteri reali e dinamismo nell’agire politico». A prometterlo è il responsabile delle politiche giovanili dell’Udc. Il nome? Matteo Tarolli. Altra ricerchina e altra (si fa per dire) sorpresa. Papà Tarolli di nome fa Ivo: senatore per due legislature, ovviamente udc, più noto per essere stato molto vicino al governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio che portava anche in vacanza nelle valli intorno a Trento, suo feudo elettorale per dieci anni. Finché Casini non gli fece pagare le amicizie e la vicenda Antonveneta. «Ivo Tarolli è una persona corretta, ma è incorso in errori di valutazione evidenti», sentenziò velenosamente curiale. Risultato, Tarolli finì trombato.

«La campagna elettorale del 2006 mi è costata 150mila euro ed è andata male», s’infuriò. E con chi se la prese? «Berlusconi è un despota. Avrebbe voluto che noi diventassimo suoi servi». Nel frattempo, per mantenere le posizioni, ha piazzato il figlio. Anche Tarolli tiene famiglia.

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