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«Casini ci ripensi e stia con noi Lo vogliono anche i suoi elettori»

Il Cavaliere confida: basta coi veti dei piccoli all’azione di governo, piuttosto mi siedo al tavolo con Veltroni

«Casini ci  ripensi e stia con noi Lo vogliono anche i suoi elettori»

da Roma

La querelle con Pier Ferdinando Casini è ormai in pieno stallo. Tanto che intervistato al Tg1 delle 20 - dopo aver assistito al servizio che annuncia per oggi la formalizzazione della corsa solitaria dell’Udc con il suo leader candidato a Palazzo Chigi (una decisione che in verità potrebbe anche essere rinviata ai prossimi giorni) - Silvio Berlusconi si limita a poche eloquenti parole: «Spero che Casini ci ripensi ed entri nel Pdl». Un appello niente affatto accorato, quello del Cavaliere. Convinto sì che «tutti gli elettori del centrodestra e anche quelli dell’Udc» siano per «andare al voto insieme», ma tutt’altro che disposto a concedere a Casini troppi margini di manovra. Per diverse ragioni.
In primo luogo - spiega l’ex premier nelle sue conversazioni private - perché «non mi voglio ritrovare nella situazione dell’altra volta» con «un piccolo partito» in grado di «porre veti all’azione di governo». Un punto su cui Berlusconi insiste a lungo perché, spiega, «non si può fare due volte lo stesso errore». E pure con chi gli ventila il rischio che senza l’Udc il Pdl si ritrovi con un’esigua maggioranza al Senato il Cavaliere è tranchant: piuttosto che tornare «al balletto della discontinuità» - ragiona con i suoi - è meglio avere da subito margini stretti a Palazzo Madama e «valutare l’opportunità di sedersi al tavolo» con il Pd. Insomma, piuttosto che dare a Casini la possibilità di essere decisivo per le sorti di un’eventuale maggioranza, Berlusconi è disposto ad accettare il rischio di dover aprire con Walter Veltroni quel confronto post-elezioni che Romano Prodi gli rifiutò. D’altra parte, pur dicendosi sicuro di portare a casa «una larga maggioranza» che «ci permetterà di governare da soli», negli studi del Tg1 l’ex premier conferma di voler «mantenere aperto il dialogo con l’altra parte per quel che riguarda il cambiamento dell’architettura costituzionale dello Stato e le regole del Parlamento». Eppoi, riflette un deputato azzurro molto vicino al Cavaliere, «che interesse può avere Berlusconi a ricreare una situazione di logoramento nella quale l’unico ad avere qualcosa da perdere è lui». «Con la congiuntura economica negativa e lo stato in cui versa il Paese - spiega ancora - andare a Palazzo Chigi con il rischio di restare imbrigliato, per il Cavaliere potrebbe quasi essere peggio del non andarci affatto».
Detto questo, nonostante le obiezioni delle colombe e sondaggi alla mano, Berlusconi è convinto di ottenere un «ampio margine al Senato» anche senza Casini. L’unica vera variabile, spiegano deputati e senatori di casa a Palazzo Grazioli, resta la Sicilia. È lì che l’Udc potrebbe portare a casa un buon numero di senatori e disturbare la corsa il Pdl. Tanto che da più parti - non solo tra gli azzurri ma pure da parte della Lega - è iniziato il pressing su Raffaele Lombardo e sul suo Mpa per cercare un punto di mediazione tra la partita delle politiche e il voto per la guida della regione. Con i colonnelli azzurri, in particolare il coordinatore Angelino Alfano, che ha già avviato contatti con esponenti locali dell’Udc per cercare di depotenziare l’asse tra Lombardo e Salvatore Cuffaro.
Ma a rendere sempre più stretta la via di un’intesa con Casini c’è pure Gianfranco Fini. Che nel faccia a faccia con il Cavaliere a Palazzo Grazioli non ha dubbi: «Silvio, ricucire non ci conviene». Il leader di An, infatti, dopo aver detto sì al Popolo della libertà chiede che a Casini non siano concessi trattamenti di favore. «Io ci ho messo la faccia e non posso perderla davanti al mio partito. E se Casini presenta il suo simbolo - sarebbe stato il ragionamento dell’ex ministro degli Esteri - come lo spiego ai miei?». Nel pranzo a via del Plebiscito, però, si discute anche della campagna elettorale. Che Berlusconi e Fini apriranno insieme a Milano l’8 marzo e chiuderanno invece a Roma.

Sul fronte manifesti, invece, addio ai 6x3 con la faccia del Cavaliere perché - spiega il responsabile della comunicazione elettorale Antonio Palmieri - «l’obiettivo principale è far conoscere a tutti gli italiani il nuovo simbolo del Popolo della libertà».

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