«Casini non sarà mai il Prodi del Pd»

RomaIl reato di clandestinità divide anche il centrodestra. Ministro Bondi, qual è il suo giudizio sulla norma inserita nel pacchetto sicurezza?
«Per troppi anni in Italia, soprattutto a causa di un’inclinazione culturale della sinistra, è stata assente una politica seria e rigorosa di controllo dell’immigrazione clandestina. Questo pericoloso lassismo è all’origine dell’insicurezza che la maggioranza degli italiani avverte acutamente. E il bisogno di sicurezza non è alimentato da una parte politica, come cerca di far credere la sinistra, ma è un fenomeno sociale reale».
Quindi approva convinto?
«Sì, giudico molto positivamente il pacchetto sicurezza varato dal governo, anche come cattolico, perché dà risposte concrete a un bisogno di sicurezza che qualsiasi comunità ha il diritto di vedere soddisfatta. E la condizione fondamentale, affinché si possa realizzare una politica dell’integrazione, è oggi di garantire un controllo rigoroso dell’immigrazione, con una repressione effettiva dei fenomeni di criminalità, legati a una disordinata politica dell’immigrazione. E poi, ne parlo a ragion veduta».
A cosa allude?
«Sono figlio di emigrati e so che mio padre andò a lavorare in Svizzera solo dopo aver ottenuto un regolare permesso di lavoro. E so pure quanto gli italiani abbiano dovuto meritarsi il rispetto di chi li ospitava grazie al loro comportamento irreprensibile, come lavoratori e come persone».
C’è chi chiede, anche dentro il Pdl, una sanatoria estesa non solo a colf e badanti.
«È una questione controversa. In linea di principio ritengo che si debbano escludere ulteriori sanatorie, anche se le considerazioni avanzate dal ministro Claudio Scajola, sulla base di realtà ed esigenze sociali ed economiche reali, sono meritevoli di essere discusse con spirito aperto e costruttivo. La nostra unica preoccupazione, infatti, deve essere quella di migliorare l’azione del governo, di fronte a problemi nuovi e imprevisti».
Ronde della discordia. C’è o no il rischio che si vada verso una «giustizia fai-da-te»?
«La legge messa a punto dal ministro Maroni è buona. Del resto l’esigenza di coinvolgere i cittadini nell’impegno di garantire una migliore sicurezza delle nostre città è avvertita anche dagli amministratori locali della sinistra. E una comunità che partecipa attivamente è un’espressione positiva della nostra democrazia».
Altro tema caldo, la pillola abortiva Ru486. Gasparri annuncia l’avvio di un’indagine parlamentare, per Fini non serve.
«È una questione della massima importanza che merita una discussione pubblica. La mia opinione personale, come parlamentare del Pdl e come cattolico, è che si debbano sfuggire due posizioni estreme. La prima è quella di considerare normale e in modo acritico l’interruzione della vita nelle forme che il nuovo farmaco rende possibile. Dall’altro lato, tuttavia, eviterei di imporre un divieto assoluto di questa pillola».
Serve un maggiore dialogo?
«Di fronte ai dilemmi che si pongono sul valore della vita e sulle modalità in cui è possibile interrompere una gravidanza, laici e credenti possono ricercare e trovare posizioni comuni. A patto che prevalga la discussione di merito e il buon senso, non contrapposizioni tra principi assoluti».
Gabbie salariali. Dopo la spinta della Lega, adesso pure il premier parla di legare gli stipendi al diverso costo della vita.
«In tempi non sospetti ho proposto di estendere il regime della contrattazione decentrata, una soluzione consona sia ai problemi del nostro sistema industriale che ai divari sociali ed economici tra diverse regioni del nostro Paese. Anche su questo punto, è importante che prevalga una discussione pacata e di merito. Purtroppo, in Italia troppo spesso divampano polemiche tanto effimere quanto violente e inconciliabili».
È stata una concessione di Berlusconi all’amico Bossi?
«No. Il presidente del Consiglio, come sempre accade, fa prevalere il buon senso e la ricerca delle posizioni comuni».
A proposito di alleati, per il Cavaliere, nel Pdl, manca ancora qualcuno all’appello. Si riferisce all’Udc?
«Guardi, il rapporto del Pdl con l’Udc rappresenta una questione cruciale, non solo per definire le alleanze politiche in vista delle prossime Regionali, quanto per delineare le prospettive future del sistema politico italiano. A questo proposito, molti autorevoli commentatori hanno dipinto scenari affascinanti ma poco convincenti».
Ci racconti.
«Primo tempo: affermazione al congresso del Pd della linea Bersani-D’Alema favorevole a un’alleanza con il partito di Casini (nel tondo). Secondo tempo: candidatura di Pier Ferdinando alla guida del governo, in occasione delle prossime Politiche, sostenuto dal Pd e da una parte della sinistra. Io non credo a questi scenari».
Perché?
«Casini non può essere equiparato a Prodi. Semmai, il leader dell’Udc insegue un’altra strategia politica. Il suo disegno non è quello di allearsi con la sinistra, bensì di attendere, come in surplace, l’arrivo del dopo Berlusconi».
Ne è sicuro?
«La mia tesi è che il Pdl possa tentare di convincere Casini a non attendere la disgregazione dell’attuale realtà politica e sfidarlo invece a costruire insieme, nei tempi e nelle forme possibili, un’alleanza vera. Affinché questo percorso possa avviarsi, occorre predisporsi a discutere con l’Udc, con rispetto delle posizioni reciproche».
A partire dalla sua scelta di non aderire al Pdl?
«Sì, ma questo non significa che non si possa ricercare un rapporto di collaborazione o un’alleanza tra forze politiche diverse e autonome, che perseguono prospettive politiche contrastanti. Ciò che ci unisce è molto di più di quello che ci divide. Viceversa ciò che divide l’Udc dalla sinistra è tale da rendere inimmaginabile un’alleanza di centrosinistra».
D’altronde, siete tutti nel Ppe.
«Già, e condividiamo gli stessi ideali e valori. L’Udc, inoltre, non potrà mai stabilire un’intesa con un Pd alleato con la sinistra estrema o con Di Pietro. Significherebbe abiurare alla propria storia e ai propri valori fondamentali. Casini non lo farà mai, ne sono convinto. Noi siamo il centro moderato in questo Paese, non ci sono dubbi. Stringere un’alleanza con l’Udc può rafforzarlo, ma a tre condizioni».
Quali?
«Primo: si operi in un contesto bipolare. Secondo: il centro non significa conservazione ma cambiamento.

Terzo: noi consideriamo l’alleanza con la Lega, non una necessità, bensì una convinta alleanza strategica per il cambiamento dell’Italia. Anche se continuo a pensare che una politica della sicurezza e del controllo dell’immigrazione debba accompagnarsi a una politica seria ed efficace di integrazione».

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