Casini perde la testa: "Via chi dissente"

Il leader dell’Udc è in grande difficoltà visto che l’ala siciliana del partito, cassaforte dei suoi voti, ha contestato la linea di attacco frontale al premier

Casini perde la testa: "Via chi dissente"

Roma - Frastornato dai malpancisti interni, Casini perde le staffe prima di perdere, presumibilmente, pezzi di partito. Attacca Berlusconi, reo di una «campagna acquisti che non lo porterà a ottenere 316 voti senza i finiani»; snobba i dissidenti siciliani che, siccome «l’Udc non è una caserma, se uno ha cambiato idea o non si trova bene è giusto che se ne vada»; prova a scardinare l’asse tra il Cavaliere e il Senatur perché «Bossi sta levando il terreno sotto i piedi di Berlusconi, altro che fedele alleato». Insomma, il leader dell’Udc è in grande difficoltà visto che l’ala sicula del partito, cassaforte dei suoi voti, ha contestato la linea di attacco frontale al premier. «Un errore chiedere le dimissioni di Berlusconi, è un dovere ascoltarlo», ripete il ribelle Saverio Romano, spalleggiato da altri cinque deputati. Un dissenso mal digerito dal casiniano Pier Luigi Mantini che sbotta: «Se vogliono votare la fiducia, con coerenza lascino il partito». La tentazione di espellere gli eretici c’è eccome. Ma il braccio di ferro continua visto che Mannino graffia: «Non capisco perché Casini e Mantini abbiano perduto la calma. Stiamo avviando un’iniziativa di chiarimento della linea politica dell’Udc».
Intanto sul fronte finiano è l’ora delle colombe. Il presidente della Camera sa che i falchi fanno più male che bene alla causa e che le sparate alla Granata irritano la maggioranza moderata dei suoi. Ulteriori scatti in avanti verso ipotetiche alleanze con la sinistra pur di far fuori «il monarca», come ipotizzato da Granata, rischiano di far emergere le spaccature interne. Tanto che il ministro Ronchi ieri ribadiva: «Fini è alternativo alla sinistra». Lealtà nei confronti dell’esecutivo e fedeltà al programma di governo sono le parole d’ordine che evitano il «così non ci sto più» di molti tra le sue truppe.
Fini sente poi il bisogno di attutire un po’ le vampate anti Cav sgorgate a Mirabello. Quello che aveva da dire l’ha detto: ma dopo il bastone è tempo della carota. Gettare di continuo benzina sul fuoco dell’antiberlusconismo non conviene e non fa altro che aizzare la Lega, pronta a ringhiare «elezioni subito»: le due parole che terrorizzano Fini. Non sono ancora pronti, i «futuristi», sebbene la macchina di un nuovo partito si sia già messa in moto. «Il tempo gioca a nostro favore», è la convinzione dei finiani, sicuri che nei prossimi mesi il loro gruppo riuscirà ad attrarre molti pidiellini scontenti. Da giorni annunciano nuovi adepti e in Transatlantico prosegue la girandola di nomi. Santo Versace? Marcello Taglialatela? Giampiero Catone?
Insomma, è tempo di lavorare per persuadere Berlusconi che dei finiani ci si può fidare. In primis sulla giustizia. I mezzi per trovare la soluzione allo scudo giudiziario per il premier restano nella mani della fedelissima Giulia Bongiorno. In pole l’ipotesi di un lodo Alfano costituzionale, tema su cui s’è svolto un summit tra parlamentari del Pdl e il Guardasigilli. Sebbene il clima sia di cauto ottimismo, i nodi da sciogliere sono molti. Il primo è legato ai tempi: il provvedimento, legge costituzionale, necessita di una doppia lettura in Camera e Senato. Basta cambiare una virgola e il provvedimento s’inchioda.
Il secondo è legato ai numeri: se non si arriva a una maggioranza di due terzi, la legge passa al vaglio del referendum. E non è scontato la maggioranza dei cittadini si esprima per il sì. Meglio, quindi, trovare i numeri in Parlamento. Ma Pdl, Lega, Udc, e Fli non arrivano alla soglia dei due terzi. Occorrerebbe il sì del Pd. Il quale, si mormora, non sarebbe contrario a priori. O almeno al proprio interno si annovera qualche possibilista. Il sì, quindi, ci potrebbe anche stare ma in cambio... Le voci su una possibile modifica della legge elettorale sono state fragorosamente, ma anche sospettosamente, smentite sia da parte piddina che pidiellina.

Certo, il cambio della legge elettorale farebbe gola a molti: dal Pd all’Udc, passando per il Fli. Per Berlusconi sarebbe invece deleterio. A meno che, a fine legislatura, a Berlusconi non interessi più palazzo Chigi ma il Quirinale.

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