RomaVa bene la sintonia palesata con quel biglietto dopo lintervento dellamico Pierferdinando durante il dibattito a Montecitorio sullautorizzazione allarresto di Nicola Cosentino, «Veramente bravo!», firmato Gianfranco. Va bene il «patto di Capodarco» con limpegno di Fini-Casini-Pisanu per favorire lintegrazione degli immigrati. Va bene che tra presidenti della Camera, uno ex laltro in carica, ci si intenda a meraviglia ma a tutto cè un limite. Ad abbracciare Gianfranco, Pierferdinando ci pensa non due ma tre volte.
Insieme? E per fare che? Un partito identificato come il cimitero degli elefanti? Unaccozzaglia di ex fedeli, relegati ai margini nellattesa che il Cavaliere abdichi? Un miscuglio di scorie della Prima Repubblica unite dal rancore verso il parvenu di Arcore? No. Cautela. Così il freddo Fini riceve ghiaccio da parte del leader centrista che, in merito alla bagarre pidiellina, preferisce restare immobile come un iceberg. Fatti loro, sembra voler dire lex pupillo di Forlani che venerdì alla Camera, giaccone di pelle sulle spalle e sorriso a trentadue denti sulle labbra, respingeva i cronisti con un «Sono in vacanza». Più esplicito il segretario dellUdc Lorenzo Cesa: «Non vogliamo interferire nella discussione politica in corso tra Berlusconi e Fini». Questultimo, invece, un«interferenza» di centristi lha cercata, voluta, inseguita. Persino e soprattutto nel giorno della minaccia a Berlusconi con quel «Guarda che mi faccio un gruppo autonomo». Poi, pallottoliere alla mano, e il rischio che il plotone degli scissionisti si possa rivelare soltanto un manipolo. La cosiddetta conta: chi mi segue? E se non bastassero? E se nel Pdl-Italia centrasse pure qualcuno dellUdc o del rutelliano Api o del gruppo misto? Mica male. Telefonate su telefonate, squilli a non finire ma da Casini soltanto gelo polare artico. Male, dal punto di vista finiano, perché un aiutino del centrista avrebbe rappresentato per il presidente della Camera una pallottola in più per la sua pistola che rischia di rimanere scarica. E invece niente. Sportellata in faccia anche da Renzo Lusetti, deputato udiccino che lo ha liquidato così: «Nessuno gli darà soccorso. Se Gianfranco pensa al dopo Berlusconi ha sbagliato i tempi». E ancora: «Se Fini rischia lisolamento? Sì, il rischio cè».
E pensare che lipotesi di una «cosa» retta da un triumvirato Casini-Rutelli-Fini, sorta di Cerbero antiberlusconiano, è sempre stata qualcosa di più che unallucinazione. A settembre era stato Rutelli, durante gli Stati generali di centro a Chianciano a non escluderlo: «Noi tre uniti? Questo si vedrà». E pure il rutelliano Bruno Tabacci aveva più volte fatto capire che il loro sogno sarebbe stato quello di amalgamare Casini, Rutelli, Fini e i delusi del predellino, magari con un pizzico di Montezemolo. Una mano, quindi, almeno dai rutelliani? Niet persino da loro se anche Pino Pisicchio bolla come «prematuro parlare di queste cose adesso».
Eppure, in nome di un processo di democristianizzazione, Fini si sarebbe aspettato da Casini ben altro atteggiamento, ben altre aperture. Ma il corteggiamento, sebbene reciproco, è una cosa; il matrimonio unaltra. Tra i due cè profumo dintesa ma resta soltanto a livello di effluvio. Entrambi si seccano per il decisionismo di Berlusconi; entrambi si infervorano nella difesa del ruolo del Parlamento; entrambi si muovono con circospezione sui temi della giustizia; entrambi fanno il tifo per una politica maggiormente sudista; ma soprattutto entrambi vanno in bestia come tori quando vedono verde. Detestano la Lega, considerata vera e propria locomotiva dellattuale governo.
Elementi sufficienti per convolare a nozze? Per Casini no. Ma se le similitudini tra i due sono tante, alcuni elettori evidenziano una differenza sostanziale tra lex aennino e lex democristiano. Una difformità di comportamenti che arriva addirittura a riabilitare il leader dellUdc.
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