nostro inviato a
Chianciano Terme (Siena)
Vuole, fortissimamente vuole il modello elettorale tedesco, Pier Ferdinando Casini. Lo vuole in primo luogo da Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, che s’ostina a definire, con orgoglio e fermezza, i suoi «alleati». Per il proporzionale, «con le preferenze», accetta anche una soglia di sbarramento molto alta, «una sogliolona», al 5 ma anche al 6%. Par questa ormai, la cambiale che il leader del centrodestra è chiamato a onorare per la nuova alleanza della frantumata Casa delle libertà. La scadenza è più che ravvicinata, a metà ottobre: poi, se Berlusconi e Fini, «con Veltroni», vorranno ugualmente andare al referendum, sappiano che «noi non verremo comunque liquidati», poiché per quel 51% di accesso al premio di maggioranza, «avranno bisogno anche di noi». È una richiesta e insieme un’offerta, quella del leader dell’Udc. Che non risparmia stoccate nei confronti dell’«amico Berlusconi», in pari misura se non più di quante ne indirizzi a Romano Prodi. Ma a dimostrare buona volontà, non dice no alla manifestazione che Berlusconi annuncia per il 2 dicembre, sanando così la ferita dell’anno scorso: chiede però di «discuterne la piattaforma».
Così ieri alla Festa dell’Udc, rispondendo alle domande di Bruno Vespa che l’organizzazione ha fatto salutare con ben quattro e calorosi hip hip hurrà. Alla prima domanda, «quanto dura Prodi», Casini ha risposto lesto: «Se ne deve andare al più presto possibile, il suo governo è una finzione», per poi subito rimproverare che «non se ne andrà per una spallata né per una manifestazione di piazza». Già, la manifestazione è giunta tra le ultime domande, dopo che Casini aveva sferzato Vespa domandandogli se «quest’anno hai seguito la politica italiana o quella della Papuasia», e l’altro pronto gli ha risposto: «No, ho seguito la tua e ogni sera ho dovuto prendere l’Aulin». Almeno il dibattito s’è ravvivato, ma sul «Che fare?» a dicembre dapprima ha risposto sprezzante: «Nessuno può pensare di dire, perché ha un ghiribizzo, andiamo in piazza. Questo si fa con chi si ritiene di avere al proprio comando. Abbiamo gli organi del partito, valuteranno». Segno, spiegano i suoi, che dopo aver sentito in tv quell’annuncio di Berlusconi s’aspettava una telefonata che ancora non arriva. Affermato l’orgoglio, ha poi dischiuso la porta. Anzi, l’ha spalancata: «Noi andremo in piazza insieme il 20 ottobre per difendere la legge Biagi, siamo andati al Family Day, sarei andato alla manifestazione sulla sicurezza se Fini mi avesse invitato. La piazza è sempre democratica, se non ci sono i passamontagna, chi sputa o spranga». Dunque, perché no a un nuovo 2 dicembre a San Giovanni finalmente insieme? Dipende «per cosa, su quale piattaforma, con quale idea», sollecita Casini.
Ma quel che più gli preme è la legge elettorale sul modello tedesco. Niente premio di maggioranza ovviamente, ma una soglia di sbarramento addirittura più alta di quella imposta in Germania. Forse perché è convinto che con Clemente Mastella e la diaspora postdemocristiana, un 10% si rastrella. Con la dichiarazione preventiva dell’alleanza? L’ex presidente della Camera svicola e rassicura: «Noi siamo alternativi alla sinistra, io sono presidente dell’Internazionale democristiana, come si può pensare che andremmo a sinistra?».
Sulla via per Canossa? Non veste di sacco e non si scorge cenere nei capelli brizzolati di Casini, che anzi rimprovera: «Se avessimo parlato meno di giustizia, meno di televisione e più dei problemi della gente, saremmo ancora al governo». Rivendica il ruolo dell’Udc, «siamo il grillo parlante del centrodestra». Già, Beppe Grillo, «non ci voleva un genio per scoprire che Grillo dava corpo all’antipolitica, bastava andare al supermercato».
La Grande Intervista è finita, Casini saluta il suo popolo che sciama.
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