Fabrizio de Feo
nostro inviato a Palermo
Nelle intenzioni doveva essere la risposta «soft» alla prova muscolare della Casa delle libertà. Il controcanto ragionato e politicamente corretto da opporre al ruggito moderato proveniente da piazza San Giovanni. Alla prova dei fatti il pronostico viene rispettato. L'Udc convoca, tramite il viceré Totò Cuffaro, le truppe siciliane, circa 10mila persone provenienti da tutta l'isola, e mette in scena nel Palasport di Palermo una sorta di convegno un po' manierato in cui si celebra la «diversità centrista» e l'orgoglio democristiano, in un'atmosfera un po' rarefatta che fa a cazzotti con il vigore della manifestazione romana. Le parole e gli slogan ricorrenti, negli interventi che precedono il discorso finale del leader dell'Udc, sono «proposta e non protesta», «avanti con la testa e non con la pancia», «ragionamenti non slogan».
Parlano nell'ordine il segretario regionale siciliano, Saverio Romano, Rocco Buttiglione, Carlo Giovanardi, Lorenzo Cesa e Totò Cuffaro. L'affondo politico spetta, però, di diritto all'ex presidente della Camera. E Pier Ferdinando Casini non si fa pregare, dettando una sorta di piattaforma politica alternativa. L'ex presidente della Camera dedica subito un saluto all'altra faccia del centrodestra, «agli italiani che affollano le vie di Roma per protestare contro la Finanziaria. Con Forza Italia e An c'è un minimo comune denominatore: l'opposizione forte a questo governo. Ma con loro abbiamo un'idea diversa del futuro del Paese. A loro e a Berlusconi, fisicamente più forte di prima, va un grande abbraccio che va oltre le differenze politiche».
È questo l'incipit morbido di un discorso che andrà, mano a mano, piantando sempre più in profondità il chiodo delle differenze tra gli alleati, differenze inscritte nel Dna stesso delle forze politiche del centrodestra. Il leader dell'Udc si sforza di definire l'identità profonda del suo partito, toccando le corde della difesa della cristianità. Non a caso attacca «l'ostentazione delle donne velate, meccanismo perverso di un desiderio di proselitismo politico». Mena fendenti contro il governo di Romano Prodi «ostaggio delle ali più estreme, un governo che non ha pari in Europa» per quanto è spostato a sinistra e che «ha colpito sistematicamente la Sicilia perché governata dalla parte avversa».
Finito il preambolo, l'attenzione si concentra sul tema più caldo: il suo progetto politico, lo strappo apparentemente definitivo con la formula della Casa delle libertà, una coalizione che così com'è per Casini non ha più motivo d'essere. «Con la protesta e l'indignazione forse si può vincere ma difficilmente si può governare» attacca. «Siamo stanchi di un bipolarismo che confida nelle disgrazie altrui, siamo stufi di dover contare sulle ali estreme. Guardate Prodi: dopo sei mesi è già nella trappola delle estreme. Siamo stati bersagliati perché abbiamo detto che serve un bipolarismo diverso. Ma ora molti concordano sul fatto che serve una legge proporzionale alla tedesca che consenta ai gruppi omogenei di ritrovarsi insieme». Il numero uno di Via Due Macelli concede l'onore delle armi al leader del centrodestra. «Berlusconi ha tanti meriti» dice. «Ma oggi serve il coraggio di cambiare. Non servono slogan o cartelli, piuttosto sfidiamo il centrosinistra sulle liberalizzazioni. Rendiamo più credibile l'opposizione. Le iniezioni di suggestioni lasciano tutto immobile». Esaurita la teorizzazione dell'opposizione costruttiva, Casini si rivolge ai possibili alleati di questo suo progetto. «Lancio un appello a tutti gli ex democristiani in Italia. Voglio dire loro che non sono obbligati a concludere la loro parabola politica con Diliberto e Pecoraro Scanio. Prodi ha nell'antiberlusconismo la sua polizza sulla vita. Da oggi forse ha un ricostituente in più: una chiamata alle armi da lanciare alla sua maggioranza sgangherata.
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