Adalberto Signore
da Roma
Pier Ferdinando Casini prova a distrarsi. Perché sì, le dimissioni di Marco Follini erano nellaria da qualche giorno, ma almeno fino a venerdì sera la speranza che il segretario dellUdc potesse tornare sui suoi passi non era del tutto tramontata. Poi la certezza dellinevitabile e lultimo gesto, unintervista al Corriere della Sera in cui il presidente della Camera tende la mano allamico di sempre: «Marco in questi anni è stato bravissimo, le sue eventuali dimissioni a mio avviso sarebbero una drammatizzazione inutile. Si avallerebbe la rappresentazione di comodo di tanti media su unUdc subalterna a Berlusconi, con un danno oggettivamente grave». Il messaggio di Casini è eloquente ma, evidentemente, non basta. Perché nonostante la lettura mattutina dei giornali Follini si presenta alla Direzione nazionale del partito in perfetto orario e va fino in fondo.
Ma questo, Casini e parte del gruppo dirigente dellUdc, lo avevano ormai messo in conto. Non certo i toni della relazione, il durissimo attacco al partito tutto e alla delegazione ministeriale centrista in particolare. Parole che dilaniano lUdc e che trasformano il gelo iniziale dei presenti allHotel Minerva in una discussione lacerante e a tratti violenta, fatta anche di scontri personali e insulti. Insomma, non solo Follini esce di scena, ma lo fa pure senza concedere un metro a chi nel partito lo ha messo allangolo. E di certo non è un caso che buona parte della sua relazione, tre pagine fitte, si possa leggere in modo esattamente speculare rispetto allintervista di Casini al Corriere. Quasi a dire, «questa è la misura della nostra distanza politica». È soprattutto questo che amareggia il presidente della Camera, che dava per scontato lattacco a Berlusconi e aveva pure messo in conto le critiche al partito. Ma mai si sarebbe aspettato parole come quelle sulla riforma elettorale (una legge dove prevale «la furbizia»), sui propositi politici dellUdc («di pastafrolla», abbiamo ottenuto «una legge elettorale in cambio di un allineamento») e sulla sua delegazione ministeriale (che si è comportata verso il premier in modo «non dirò ossequioso, ma almeno ripiegato»). Dopo un jaccuse di questo genere, Casini sa bene che luscita di scena di Follini non potrà essere indolore. E che dovrà lavorare a tempo pieno sul partito per evitare che la miccia accesa dallex segretario si consumi fino in fondo.
Per il momento, però, preferisce restare lontano dallo scontro, nella sua Bologna, dove prima di partire per Ginevra si concede un pomeriggio di distrazione allo stadio. È qui che incontra lex presidente della squadra rossoblù, Giuseppe Gazzoni, suscitando la curiosità di qualche cronista che gli chiede dell«ingratitudine» di cui sarebbe stato vittima Gazzoni.
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