Casini tende la mano, ma solo i socialisti la stringono

«I Poli non si dividano». Intini l’unico a rompere il coro di no dell’Unione

da Roma

Nonostante la recente conversione alla teoria del «ritiro graduale e concordato» (con gli Usa), dal centrosinistra non è arrivata alcuna apertura all’invito del presidente della Camera a un impegno comune dei poli sull’Irak.
Pier Ferdinando Casini, in un’intervista alla Stampa, ha offerto un riconoscimento all’opposizione: «L’approccio della sinistra sul Medio Oriente è diventato più realistico», e ha rivolto un invito a «non rinnovare gli scontri ideologici». E siccome «uno dei primi atti del nuovo Parlamento», nel giugno 2006, sarà il rinnovo della missione militare italiana in Irak, Casini ha invitato entrambi gli schieramenti ad «assumere un impegno» di non dividersi sulla exit strategy.
Ma il prodiano Franco Monaco gli replica a brutto muso: «Casini ci risparmi almeno l’ipocrita retorica bipartisan», dopo che proprio il presidente della Camera «ha fatto l'esatto contrario sul minimo del minimo e cioè la legge elettorale, che egli ha fortissimamente preteso e ottenuto. A vantaggio suo e contro l'opposizione». Mentre il verde Alfonso Pecoraro Scanio afferma che «un’intesa bipartisan può esserci solo sul ritiro delle truppe dall’Irak».
Su quest’ultimo punto, però, l’Unione ha dei problemi a mettersi d’accordo al suo interno, anche se Rutelli assicura «abbiamo già una posizione chiara e largamente condivisa», che esclude ogni «abbandono nel senso di fuga». In rapida successione, Fassino, Prodi e Amato hanno innestato la marcia indietro e smesso di parlare di ritiro immediato. E dalla sinistra della coalizione parte una serie di altolà. L’Unione si ricordi che «siamo tutti vincolati alla mozione presentata alla Camera per il ritiro immediato», è l’avvertimento che arriva dal capogruppo di Rifondazione, Franco Giordano. Che fa finta di non credere alle parole del presidente iracheno Jalal Talabani, che dopo un incontro con i leader del centrosinistra ha raccontato: «Prodi, Fassino e Rutelli mi hanno promesso che, se vincono le elezioni, il ritiro delle truppe dall’Irak sarà graduale, programmato e concordato con il nostro governo».
Esattamente quello che nelle più recenti prese di posizione sia il capo dell’Unione che quelli di Ds e Margherita hanno affermato. Nessun ritiro immediato, ma una exit strategy graduale e soprattutto condivisa con gli americani. Ma per Giordano, Talabani «non mi sembra del tutto affidabile in queste sue dichiarazioni», e per l’Unione «sarebbe assolutamente deleterio aprire una divaricazione sull’Irak».
«Non c'è proprio nulla da trattare o da concordare - incalza il cossuttiano Marco Rizzo - Questa guerra sbagliata ha causato già troppi morti e provocato danni in Irak. Il centrosinistra, una volta al governo, ha il dovere di richiedere il ritiro immediato delle truppe». A mediare, offrendo un’apertura anche all’appello di Casini, ci prova il socialista Ugo Intini: sull'Irak, sostiene, «nonostante le polemiche, si può trovare un terreno di intesa tra i due poli perché il 2006 sarà comunque l'anno del ritiro». Ormai infatti «le distanze tra centrodestra e centrosinistra si sono ridotte. Perfino la Cdl ammette che la guerra è stata un errore, e tutti concordano sulla necessità di ritirare le truppe», naturalmente in accordo con gli americani.


E i «tempi e modi» di questo ritiro, «se c'è buon senso e buona volontà, non possono essere un ostacolo insormontabile a una intesa bipartisan tra maggioranza e opposizione che usciranno dalle prossime elezioni politiche».

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