Cultura e Spettacoli

Caso Beatrice Anche Mazzone tra gli indagati

da Firenze

L’inchiesta sulla morte di Bruno Beatrice, il calciatore della Fiorentina morto nel 1987 di leucemia a soli 39 anni, è arrivata a una svolta. Sul registro degli indagati, con l’accusa di omicidio preterintenzionale, è iscritto anche Carlo Mazzone, ex allenatore della Fiorentina dal 1975 al 1978. Insieme a lui anche due ex primari ospedalieri che curarono il giocatore con i raggi Roentgen per una pubalgia. Venerdì Mazzone è stato convocato in procura dal pm Luigi Bocciolini, lo stesso che nel 2001 spedì i carabinieri del Nas nelle camere d’albergo del Giro d’Italia. «Sono sereno - ha detto Mazzone, che nei mesi scorsi era stato già ascoltato dai militari del nucleo antisofisticazioni - non so cosa potrò dire su questa vicenda: io ero l’allenatore, quello che decideva lo staff medico non era di mia competenza».
È stata la vedova di Bruno Beatrice, Gabriella Bernardini, oggi 59 anni, la prima a puntare il dito: «Bruno è stato ammazzato dal calcio», ha sempre ripetuto mentre combatteva una battaglia che sembrava persa in partenza. Un primo esposto venne archiviato nel 2000 ma lei non si è fermata. È il magistrato di Torino Raffaele Guariniello ad avviare nel 2001 l’inchiesta sulle morti sospette nel calcio. Nel lungo elenco compaiono anche i nomi di Beatrice e di Nello Saltutti, classe 1947, attaccante, morto d’infarto nel 2003 a 56 anni.
La signora Bernardini chiede che venga riaperto il caso e nel giugno 2005 il giudice accoglie la richiesta. I carabinieri del nucleo antidoping del Nas di Firenze ascoltano una cinquantina di testimoni di quegli anni, medici, calciatori e i loro familiari, passano al setaccio cartelle cliniche e ricette e ripescano un vetrino che conteneva una sezione di midollo osseo prelevato a Beatrice e rimasto negli archivi di Careggi.
Una perizia chiesta dal pm Bocciolini un anno fa arrivò alla conclusione che Beatrice potrebbe essere stato ucciso dalle troppe radiazioni. Il professor Giuseppe D’Onofrio, ematologo e oncologo di Roma, docente alla Cattolica, e la dottoressa Giuseppina Fortuna, primario di radioterapia del San Filippo Neri scrissero che il trattamento era «assolutamente scorretto tanto per il numero di sedute, una al giorno per oltre due mesi, quanto per la supposta dose somministrata. L’analisi della letteratura dimostra che le radiazioni assorbite, anche a dosi basse, aumentano il rischio di cancro e in particolare di leucemia. Quindi sussiste una compatibilità tra la massiccia terapia Roentgen praticata nel 1976 e la leucemia acuta diagnosticata a Beatrice nel 1985».


«Sono piena di rabbia - ha commentato la vedova Beatrice - ma finalmente il giorno della giustizia è arrivato».

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