«Caso Bpi, ecco perché mi sono chiamato fuori»

«Ero convinto che avremmo bocciato l’Opa, poi le cose sono cambiate»

«Caso Bpi, ecco perché mi sono chiamato fuori»

Gianluigi Nuzzi

da Milano

Fino alla vigilia dell’ok concesso a Gianpiero Fiorani, Claudio Clemente, dirigente della vigilanza di Banca d’Italia, era convinto che sia Antonio Fazio sia Francesco Frasca, capo della vigilanza, avrebbero negato le autorizzazioni all’Opa e all’Opas su Antonveneta richieste da Popolare Italiana. Come il capo Servizio concorrenza normativa, Giovanni Castaldi, anche Clemente, interrogato come teste lo scorso 18 luglio davanti ai Pm della Procura di Roma, ricorda il pressing del governatore. Clemente mette a verbale: «Più volte in quei giorni (verso metà giugno, ndr) abbiamo parlato con il governatore dei problemi connessi con le richieste di autorizzazione di Bpi. Ricordo che in quei giorni si affrontò con il governatore il problema patrimoniale di Lodi e mentre Frasca aveva richiamato l’orientamento già espresso dalla Banca d’Italia in ordine al momento storico in cui doveva essere accertata l’esistenza di adeguata copertura patrimoniale, il governatore aveva chiesto approfondimenti sul punto».
Insomma Fazio si interessa ma né lui né Frasca «mi aggiunsero elementi ulteriori da farmi ritenere che esistesse già una decisione al più alto profilo favorevole alle richieste Bpi. Ero tanto convinto delle mie argomentazioni e poi di quelle anche dell’ufficio legale che ritenevo possibile che Frasca e il governatore alla fine decidessero negando tali autorizzazioni». Insomma, se Castaldi intuisce che la frattura tra Vigilanza e piani alti si fa sempre più insanabile, Clemente è più ottimista. «Fino alla fine - aggiunge -, almeno per quanto a me risulta, Frasca era convinto che si potesse ancora arrivare a una soluzione negativa per Bpi. Infatti, unitamente al mio Servizio e al dottor Frasca, lunedì 11 luglio di mattina ancora lavorammo riadattando la lettera negativa già predisposta e trasmessa in data 8 luglio, tenendo conto delle osservazioni di Frasca». E qui aggiunge un elemento utile per capire il ruolo del capo della Vigilanza: «Avevamo già cominciato - afferma - a riflettere su una ipotesi alternativa considerata la percezione che avevamo avuto io, Frasca e Castaldi di un’eventuale soluzione diversa». Le strade infatti si separano quando appare chiaro che il governatore intende concedere l’autorizzazione: «Frasca ha continuato a coordinare il lavoro interno in quanto io mi ero chiamato fuori, considerando la mia posizione incompatibile con la costruzione di un provvedimento positivo, dopo avere concluso negativamente l’istruttoria, e quindi lui è rimasto l’unico raccordo tra gli uffici e il governatore». Clemente non poteva infatti dare parere positivo. Troppe, a suo dire, le incongruenze: «I tempi di cessioni delle minorities, indicati come in essere alla fine di maggio, si sono conclusi alla fine di giugno, anche la realizzazione dell’operazione delle preference shares era avvenuta solo il 30 giugno.

Le incertezze della situazione patrimoniale (erano dovute, ndr) all’elevata entità di opzioni put su azioni di società del Gruppo che in base ai nuovi principi contabili potrebbero essere riclassificati fra le passività (le put sulle banche toscane non risultavano ancora totalmente definite), nonché gli effetti dei criteri Ias sull’impegno a riacquistare azioni Antonveneta in possesso degli altri pattisti».
gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it

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