Il caso Così lo scenografo è riuscito ad «aprire» il Mar Rosso

È la sfida suprema di tutti gli scenografi. UItimo atto del «Moise et Pharaon» di Rossini. Inseguiti dagli egiziani, gli ebrei si fermano davanti al Mar Rosso. Ma Dio separa le acque, e loro le attraversano. «Facile a dirsi. Ma come se la cava un povero scenografo?» Come se l’è cavata Pier'Alli, scenografo, costumista e regista del «Moise et Pharaon» che stasera inaugurerà la stagione dell'Opera di Roma, e insieme il nuovo corso firmato da Riccardo Muti? (nella foto qui a fianco un bozzetto di scenografia). «Io voglio una cosa grande, spettacolare, come nei “Dieci comandamenti” di Cecil B. De Mille!». Già: perché, oltretutto, nell'opera di Rossini i cataclismi abbondano: oltre alla separazione delle acque c'è l'eruzione di un vulcano, un terremoto, il crollo di una piramide, l'esplosione di una statua di Iside... La soluzione? Un Egitto astratto, con grattacieli e piramidi di specchio; un'enorme statua bianca e oro simile ad un totem, che deflagrerà grazie ad un filmato; le enormi tavole della legge trasmesse da Dio, la cui presenza sarà materializzata dalla luce attraverso i fori del muro".

Fino al momento clou: «Le pareti si apriranno, e un filmato proiettato su di esse renderà “reali” i due muri d'acqua attraverso i quali fuggono gli Ebrei». E che ne pensa Riccardo Muti di queste soluzioni? «Oltre quella musicale, come sempre il maestro segue anche la realizzazione scenica. Ma non s'intromette mai».

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