Politica

Il caso Democratici disillusi: via alla diaspora

Io li chiamo gli «apolidi di sinistra». Sono quei militanti che generalmente hanno trascorso una vita nella sinistra ma che rinunciano alla politica e, in molti casi, non si riconoscono più in alcun partito di sinistra, tanto meno nel Pd. È un fenomeno dilagante che riguarda personaggi famosi e gente comune, elettori ed ex elettori. La cronaca recente ci consegna tre nomi con tre biografie e motivazioni diverse. La prima è Irene Tinagli, ricercatrice di 34 anni a Pittsburgh, Usa, che Veltroni ha messo nella Direzione del Pd per utilizzare, così rivela la stessa Tinagli, le sue competenze e la sua freschezza politica. La Tinagli ha scritto due settimane fa una lettera al Riformista rivolta al suo segretario in cui annuncia le dimissioni. Resta di sinistra ma va via, riprende la sua marcia di ricercatrice solitaria, apolide, senza più patria politica. Nessuno le risponde. Lo stato maggiore del Pd la lascia andare senza chiederle una spiegazione, senza rincorrerla, senza proporle una prova d’appello.
Ieri le cronache erano piene della notizia sull’incatenamento del sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, che, colpito da una disinvolta inchiesta giornalistica di Repubblica e dell’Espresso, decide di protestare contro i giornali delle gruppo De Benedetti, la portaerei mediatica della sinistra. L’incatenamento di Domenici sancisce un divorzio clamoroso, quello fra la sinistra e il suo giornale-partito, un vero trauma per il popolo di sinistra e la rottura di un rapporto antico fra il mondo anti-berlusconiano e il quotidiano di via Cristoforo Colombo. Ma il gesto clamoroso di Domenici non sono le catene che per due ore lo tengono avvinto a un palo accanto alla sede del quotidiano che fu di Eugenio Scalfari. Domenici ha contemporaneamente annunciato che rinuncia alla politica, come ha confermato ieri nella trasmissione della Annunziata. Finito il mandato di sindaco rinuncia al seggio europeo e torna a casa. Nessuno gli chiede di restare. Gli apolidi di sinistra acquisiscono una nuova adesione eccellente. Forse sarà temporanea, ma rivela che la fuga, o il ritiro, è l’opzione sul campo.
Infine Claudio Velardi, ex-Lothar dalemiano, uomo intelligentissimo, di molte relazioni che nel momento più difficile per Bassolino scende da Roma a Napoli per fargli da assessore. Anche lui si chiama fuori dalla sinistra organizzata e lavora per una lista bipartisan alle prossime elezioni comunali di Napoli. Ci sarebbero poi i cantautori, da Francesco De Gregori a Jovanotti a Dalla, e altri ancora, che fanno outing e, pur non rinunciando alle proprie idee, sciolgono gli antichi legami. Ci sono, infine, le tante lettere di militanti angosciati e senza speranza che arrivano ai giornali di sinistra.
Lo stato maggiore del Pd assiste attonito a queste fughe individuali che stanno diventando una fiumana. Nessuno parla, tutti sperano che l’esodo finisca ma la diaspora continuerà.
Gli apolidi di sinistra stanno diventando il fenomeno più rilevante di questa stagione della sinistra. Dall’impegno al disimpegno, dalla militanza all’auto-isolamento. Vanno via in silenzio o sbattendo la porta, non chiedono ospitalità all’altra parte anche se non accettano più la demonizzazione di Berlusconi e le manette di Di Pietro. È gente comune e gente eccellente, sono stati rivoluzionari o riformisti. Ora sono più niente, ovvero sono di sinistra ma di una sinistra fatta in casa, celebrata entro le quattro mura. Hanno ritirato la delega, non si fidano, non sopportano più le vecchie facce e la loro fuoriuscita viene accolta dal silenzio sgomento di chi è incapace di reagire di fronte a ragioni che non possono essere contrastate.
L’apolide di sinistra rivela il fallimento della sinistra attuale. La caduta degli dei. In fondo è la dichiarazione di fallimento di chi cantava che «la storia siamo noi» e scopre che la storia è diventata cronaca di duelli personali, di tragedie giudiziarie, di contrappasso rispetto alle prediche moralistiche di Enrico Berlinguer. Per anni l’apolide ha vissuto accanto a noi, dentro di noi, ma veniva esorcizzato dal pericolo del regime del «demonio» berlusconiano. Erano dalla parte della ragione, ovvero, come recitava orgogliosamente il Manifesto, dalla parte del torto snobistico. Ora scoprono di essere soli e di essere un esercito di persone sole. È gente che sceglie di appartarsi per poter continuare a credere alla politica che diventa un rito pagano da consumarsi davanti ad altari familiari privi di vita comunitaria.

Li ho chiamati apolidi di sinistra, ma sono un nuovo popolo di «camminanti» che sa dov’era, ma non so dove andrà.

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