Il caso Ferrara torna a pungere: «Il Cav deve cambiare»

Roma«Iddu», e cioè il Cav, «deve cambiare». Deve cambiare «stile, modi, procedure» ma soprattutto deve «rimettersi in gioco». Insomma, sostiene Giuliano Ferrara, nel centrodestra, «il problema è lui».
A questo punto bisognerà vedere se Silvio Berlusconi è d’accordo. Intanto, dopo la sconfitta elettorale, ecco che rispunta sulla scena il profilo ingombrante dell’Elefantino. Una fuga in avanti? Una mezza fronda? Un gioco delle parti? Niente di tutto questo, assicura il direttore del Foglio, ma solo la voglia di «uscire dalla inconcludente discussione sul disastro di Milano e dintorni» e di suggerire «per il bene di un Paese che sembra amarci un cicinin di meno».
Da qui la proposta di «un servo per scelta, libero e forte». Perché va «benissimo» promuovere Angelino Alfano segretario del Pdl, come anche confermare il tris di coordinatori e fare «scaribarile su Tremonti». «Molto benissimo», però secondo Ferrara serve un’integrazione per arrivare al cuore della questione.
E quindi è giunta l’ora di «cambiare qualcosa». Solo che nella storia italiana degli ultimi vent’anni «non c’è un qualcosa, ma qualcuno», Silvio Berlusconi. «Girarci intorno è prendersi per il culo. Iddu deve cambiare, riaversi dal suo monologo infinito, ripetitivo. Deve rimettersi in gioco e rimettere in gioco la sua creatura politica che dipende da lui e da cui perfino Iddu ormai dipende».
Serve insomma, a detta del direttore del Foglio, una rivoluzione che un po’ è anche un ritorno al passato, perché una sterzata sulle tasse non sarà sufficiente per invertire la china. «Due anni di governo antifiscale, con prudenze greche, sono auspicabili. Ma nemmeno l’impossibile aliquota Irpef al 33 per cento risolverebbe il problema». Che fare allora? «Il problema - insiste Ferrara - è lui, la sua riluttanza a essere se stesso e non la caricatura che ne fanno i suoi nemici».
Certo, occorrerebbe poi pure qualche sostanzioso ritocco alla struttura e ai meccanismi democratici interni. A questo proposito l’Elefantino rilancia l’idea delle consultazioni popolari, che già aveva buttato sul tavolo subito dopo il voto. Fissa persino una data: «Primarie per eleggere il presidente del Pdl e i coordinatori regionali il primo e il due ottobre. Può essere un azzardo, una belinata. Ma qualcuno ci porti un’alternativa seria per la ricostruzione di una leadership».
Di questo e di altro si parlerà mercoledì prossimo a Roma, al teatro Capranica, dove si svolgerà, come si legge sul Foglio «un’adunata di servi liberi e forti per reagire al disastro». Sarà l’occasione giusta per capirne di più sulla strategia di Ferrara. Dopo la prima esperienza di governo nel ’94, dopo un periodo di disgrazia, dopo la parentesi antiabortista, dopo aver interpretato alternativamente la figura del consigliere del principe e quella del frondista, da qualche tempo l’Elefantino ha ripreso a barrire. Adesso vuole le «primarie aperte».

Può correre chi ha «una rinoscibile esperienza di lavoro politico nel partito e nel governo e diecimila firme». Che vuole fare? Sicuramente non rovesciare il premier, come si deduce da un altro titolo sulla prima del suo giornale: «Sconfitto, il Cav resta il più fico».

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