Caso Fincantieri Le responsabilità anche dei politici

Condivido le considerazioni di fondo del Giornale sul caso Fincantieri, gli articoli di Massimiliano Lussana e anche le parole di Renata Oliveri e vorrei solo aggiungere che se la Fiom ha avuto le sue responsabilità «Hardware» per la vicenda relativa alla quotazione in Borsa, vi sono state anche altre responsabilità «Software» di politici e manager della Fincantieri abituati alla gestione ex Iri di cui sono ancora figli che vede Genova come ultimo «Fort Apache» di un certo «socialismo reale» diventato poi consociativismo... molto duro a morire anche se di nome l’Iri non c’è più, la Fincantieri è una Spa (ma anche Amiu e Aster sono Spa) ma gratta gratta sotto il nome Spa c’è ancora tanto passato.
Certo Fincantieri ha un vantaggio rispetto ad esempio ad una Ansaldo Genova-centrica in quanto ha sede principale a Trieste, il più grande cantiere a Monfalcone come pure il gruppo Riva ha la sede fuori Genova ed il più grande stabilimento a Taranto ma tant’è l’influenza di decenni di «socialismo reale» si sentono ancora.
Quotazione in Borsa. È chiaro che prima di tutto il nuovo investitore chiede di fare una «Due Diligence», chiede di entrare con una quota azionaria di almeno il 35-40% e di avere un Direttore Generale ed un Direttore Amministrativo ma quando si trova davanti a strutture da gosplan sovietico con Direzioni, Staff, Condirezioni ed altri posti non proprio indispensabili se non per chi li occupa, l’investitore chiede di fare dei tagli in quanto si tratta di strutture a piramide rovesciata ma intervengono tutte le scuse per dire che a Genova non si possono perdere altri centri direzionali, posti di lavoro senza dire che si tratta solo di posti ben retribuiti ma sulla cui utilità c’è da avere dei dubbi visto che quando qualcuno va in pensione e la funzione resta scoperta nessuno se ne accorge.
E così le «Due Diligences» di Fincantieri e di Ansaldo si concludono con un nulla di fatto in quanto la «casta braminica dei tempi dell’IRI di Prodi» o va in pensione a 65 anni oppure deve restare salda in sella e ciò può avvenire solo se non arrivano nuovi azionisti «scocciatori» o che vogliano cambiare lo «status quo».
Per questo a suo tempo tutte le ipotesi di accordo e di vendita sono saltate e non da oggi come ricorda chi visse l’accordo Ansaldo-Abb che durò due anni; le uniche possibilità sono le vendite come la Esacontrol alla Abb, la Grandi Motori alla Wartsila etc. etc. perché in questo caso il compratore decide su tutta la strategia e sul management al di là delle telefonate del Burlando di turno, dei sindacalisti dell’amianto.
Iri e Psi. Se è vero, come scrive M. Pini nel libro relativo alla Storia dell’IRI da Beneduce a Prodi l’Iri era in quota Dc salvo realtà come Genova che dal compromesso storico in poi videro con A. Puri il prepensionamento del management DC in favore di quello vicino all’allora Pci (Assirelli, Zara, Castellano & C.) anche il Psi a Genova ebbe le sue colpe per essere stato con pochi che guardavano al futuro (Magnani) e molti che guardavano al passato (Cerofolini) a differenza di quanto avveniva in altre realtà come la Lombardia dove il PSI aveva dei Tognoli e dei Finetti che non facevano i sottopanza come dicono a Roma del Pci; a Genova poi oltre agli uomini del Psi si sono aggiunti pure i cattolici democratici, i laici.
Genova oggi.

Gli effetti che vediamo oggi sono purtroppo figli di ieri e ci vorranno come minimo 10 anni a vedere dei veri cambiamenti perché basta leggere il Nuovolevante di oggi, dove si parla della Fincantieri di Riva Trigoso ed il solito sindacalista della Fiom dice che per assicurare i carichi di lavoro ci vuole il solito intervento dello Stato che magari ordini una nuova portaerei gemella della Cavour; la cultura dello statalismo non riesce a morire in questa regione che vede nella sinistra una «Polizza di Assicurazione» e vede nelle aziende industriali rimaste dei baluardi «loro» per festeggiare il 25 aprile, il 23 aprile in orario di lavoro e poi il 30 giugno sempre ricordando il passato e mai guardando al futuro.

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