Il caso L’ambasciata lituana? Occupata dai russi

LA STORIA I sovietici si impadronirono nel 1939 della splendida villa sulla Nomentana: da allora ogni richiesta di restituzione è caduta nel vuoto

Da Ieva Musteikyte, giovane intellettuale lituana traduttrice di un libro sulle infamie sovietiche e le deportazioni in Siberia subite dai suoi connazionali ( «I lituani al Mar di Laptev», di prossima pubblicazione presso l’editore Lucarini), riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Ancorché sia diventata cittadina italiana dopo essermi sposata e laureata a Roma, non riesco a rassegnarmi alla sorte riservata alla splendida sede, sulla via Nomentana, di quella che fu l’ambasciata del mio Paese sino al 1939. Sembra un paradosso politico e storico, ma là è l’unico angolo al mondo dove, con le sue prepotenze, abita ancora l’Urss. La vicenda è questa. In seguito allo sciagurato patto Molotov-Ribbentrop, Mosca chiese al governo italiano di consegnare la nostra sede diplomatica all’Urss di Stalin. Il nostro ambasciatore del tempo, Stasys Lozoraitis, ancorché minacciato dai sovietici, si oppose coraggiosamente, lasciando l’edificio in protocollo al ministero degli Esteri italiano. Eguale coraggio non ebbe, nel 1945, il primo presidente del Consiglio dell’Italia liberata, Ferruccio Parri, che si affrettò a cedere alla rinnovate pressioni sovietiche.
Nel frattempo sono cambiati il mondo e la geopolitica, fortunatamente è crollato il comunismo, anche se in Lituania soltanto nel 1991. Ciò nonostante a Roma, l’intera area di Villa Lituania (si è sempre chiamata così, da quando negli anni 30 il governo di Vilnius ribattezzò con quel nome l’originaria “Villa Maria Luisa” dopo averla acquistata da Giorgio Nelson Page e Maria Luisa Roca) è rimasta l’ultimo territorio lituano ancora occupato da Mosca. Nessuno ha mai osato, anche in sede europea, a mettere in discussione i diritti alla restituzione di Villa Lituania. Intanto, però, la nostra sede diplomatica, anziché su uno splendido territorio edificato di via Nomentana valutato 20 milioni di euro, è costretta a restringersi nei pochi metri quadrati di un modesto appartamento di viale di Villa Grazioli, dove ogni due sabati l’ambasciatore lascia spazio a bambini, genitori e insegnanti che non vogliono perdere contatti e legami culturali con il loro Paese, il più antico e glorioso delle tradizioni baltiche che il comunismo oppressore ha cercato di sradicare. Numerosi sono stati i tentativi, diplomatici e politici, anche in sede comunitaria, per il ripristino di questi diritti. Il 27 luglio 2007 il Corriere della Sera si occupava della vicenda con un articolo dal titolo «D’Alema eredita una grana del Duce», come se fosse colpa del fascismo anche una mancata restituzione da parte degli antifascisti. E difatti, due giorni prima, dal resoconto delle interrogazioni orali al Parlamento europeo risultava che, «sebbene Roma abbia ribadito che la Lituania non ha perduto i suoi diritti, il ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema ha ora dichiarato che alla Lituania non verrà mai restituita la sua proprietà».
Diverso interessamento, caduto il governo di centrosinistra, ha dimostrato il leader del centrodestra Silvio Berlusconi, anche contando sulla sua amicizia personale con Putin e sul suo ruolo di mediatore con Mosca.

L’8 ottobre dell’anno scorso, il primo ministro italiano, dopo un incontro con il suo omologo Gediminas Kirkilas, ha assicurato che «nei prossimi mesi verrà trovata una soluzione in grado di accontentare tutti». Qualche mese è già passato e i lituani confidano che non ne passino troppi e che i primi ad essere accontentati siano loro.

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