Caso Livni, Israele non perdona Londra

L’ambasciatore inglese è stato ieri convocato al ministero degli Esteri di Gerusalemme per ricevere la protesta di Israele contro la decisione di un giudice inglese di arrestare il capo del partito Kadima come criminale di guerra. L’azione provocata da un gruppo palestinese, forte del fatto che chiunque in Inghilterra ha diritto di promuoverla, non ha avuto seguito solo perché il giudice erroneamente riteneva che la Livni si trovasse sul territorio britannico. Errore che imbarazza l’Inghilterra e riapre un vaso di Pandora politico e giuridico internazionale: Londra sta esaminando ora «il modo di cambiare il suo sistema per evitare casi simili in futuro», ha detto il capo della diplomazia britannica, David Miliband, ieri. «Ora siamo tutti Livni» ha gridato un membro del Likud, avversario della Livni, imitando il grido di Kennedy davanti al muro di Berlino. E c’è da credere che questo grido abbia galvanizzato e unito anche gli israeliani più politicamente divisi. Per l’inviato del «quartetto» per il Medio Oriente, l’ex premier britannico Tony Blair, l’incidente rischia di escludere la Gran Bretagna da ogni partecipazione agli sforzi di pace nel Medio Oriente.
Il caso Livni riapre un contenzioso fra sovranità statale e sovranità internazionale iniziato con la costituzione di un tribunale criminale internazionale all’Aia approvato alla conferenza diplomatica di Roma nel giugno 1998. Davanti ad esso sono comparsi personaggi come Milosevic e certamente non apparirà il presidente del Sudan Bashir che circola liberamente in Paesi come la Turchia e l’Egitto che hanno aderito alla Convenzione. Israele con Russia, Cina e Stati Uniti non l’hanno ratificata assieme ad altri 30 Paesi. Gerusalemme si oppone all’estensione voluta dai Paesi arabi della convenzione ai «territori occupati». In base a questo articolo i palestinesi hanno tentato di incriminare israeliani davanti ai tribunali spagnoli e belgi, obbligando i governi di questi Paesi a emettere disposizioni restrittive all’applicazione della convenzione. Obbligare l’Inghilterra a fare lo stesso ha un triplice interesse.
Si tratta anzitutto di una questione di prestigio nazionale. Mettere cioè fine ad una situazione che pone qualunque israeliano alla mercé del buon volere dei palestinesi o di qualunque organizzazione anti israeliana o antisemita. In altre parole di essere potenzialmente considerati come degli «appestati». Accusa ingiustificata anche perché la convenzione non dovrebbe applicarsi ai Paesi che non l’hanno ratificata - cosa comunque soggetta ad un ampio dibattito. Non meno importante per il governo di Gerusalemme è ottenere il cambiamento della procedura inglese che lascia come aperto a qualsiasi privato di trasformare una convenzione dettata dall’orrore dei crimini nazisti contro gli ebrei, in arma contro di essi. Cosa resa attuale dal tentativo di trascinare davanti al tribunale criminale internazionale la dirigenza politica e militare di Israele attraverso la commissione Gladstone di inchiesta sulle operazioni militari contro Gaza. Questa commissione che ha già provocato il rifiuto dell’Autonomia Palestinese e del suo presidente Abu Mazen di riprendere i negoziati con Israele per un’eventuale soluzione del conflitto.
Infine - cosa non meno importante - questo contenzioso con l’Inghilterra offre a Israele l’opportunità di denunciare l’ipocrisia di molti Paesi, arabi e non arabi e delle stesse Nazioni Unite nel loro tentativo di incriminare e delegittimare lo Stato ebraico. Questo mentre viene accettata come quasi un diritto la volontà istituzionalizzata di movimenti politici come Hamas e gli Hezbollah di distruggere lo Stato degli ebrei.

Minacciare di arresto una personalità politica democraticamente eletta come la signora Livni per crimini che non aveva commesso né poteva commettere mentre libero spazio viene dato, anche in sede internazionale, ai propositi di un dittatore invasato come Ahmadinejad e ai rappresentanti di un regime oppressivo come quello iraniano di eliminare fisicamente l’intero popolo di Israele sfida la ragione. E quella stessa coscienza internazionale che ha dato vita all’Onu e al tribunale criminale internazionale il cui scopo è di mettere fine ai crimini di guerra.

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