Il caso Musso Politico elitario ma fuori dal tempo

Nel suo dotto e stimolante articolo del 13/07/2010 Claudio Papini ha dato una spiegazione (non una giustificazione. Anzi!) in termini culturali ai comportamenti schizofrenici di Musso in politica. Un Musso non in grado di trovare un armonioso equilibrio tra i suoi personalissimi punti di vista ed esigenze politiche di coerenza e di appartenenza. Un uomo quindi politicamente immaturo, imprevedibile e inaffidabile.
E ciò in ragione del suo individualismo, secondo Papini. E perché no, secondo noi, anche del suo egoismo e del suo egotismo. Da ricondurre, secondo Papini, alla sua natura nobile di liberale puro. Un individualismo, per noi accettabile solo se contrapposto al termine di collettivismo. Ma non di più. In quanto fuori corso in Italia se inteso negli stessi termini in cui è diffuso in alcune aree europee, compresa l’America, ove si affermò ideologicamente con la riforma protestante, bloccata insieme all’illuminismo giacobino nel nostro Paese con il Concilio di Trento.
Un evento salutare e non esecrabile.
Perché è proprio questo il punto alto e culturale che ci contraddistingue. È proprio grazie al cattolicesimo, (e al rifiuto dell’individualismo come norma e condotta di vita), cui siamo ancorati per tradizione e per cultura che possiamo parlare di persona umana e di personalismo e non di individuo e di individualismo.
Possiamo parlare nel Pdl e come Pdl della centralità della persona umana nella sua integrità, nella sua dignità e nella sua libertà dal punto di vista etico, rigettando il laicismo indifferentista e il cattolicesimo statalista. Di mercato e di solidarietà nella finalità della promozione umana.
Musso è estraneo, insensibile a questi sentimenti insieme ai suoi affini. Non ha culturalmente assimilato l’identità del «berlusconismo» che trae ispirazione dalla grande area dell’umanesimo cristiano e laico che contrassegnò il pensiero e le opere di don Sturzo, Einaudi e De Gasperi. E da quella grande famiglia socialista di Turati, Saragat e Craxi. Non ha inteso che il «berlusconismo» è figlio di due rotture culturali. La prima, dell’area Dossetti-Gramsci (citati da Papini), la miscela della scuola cattolica dossettiana statalista, della scuola gobettiana (citata da Papini) azionista e dalla scuola comunista gramsciana egemoni culturalmente nella prima repubblica.
La seconda, della rottura delle ideologie del ’68 cresciute nel grembo del dossettismo e del gramscismo. In particolare, il gobettismo che dettò il passo con il suo giudizio sugli italiani, conformisti e servili da pedagogizzare.
Un gregge al quale doveva essere impedito di innamorarsi ancora di un leader carismatico. E da questa visione, istituzionalizzata nella Costituzione, che nacque appunto la partitocrazia, la dittatura della élite cui si vuole tornare con il ripristino del proporzionale con tutti gli inciuci che comporta.
Musso è quindi un liberale che non sa fare i conti con l’eredità liberale, minoritaria, elitaria e snobbistica. Non ha perciò capito la svolta epocale del passaggio dal liberalismo elitario a quello di massa su un orizzonte popolare.
Lo stesso Croce, citato da Papini, si era lasciato alle spalle il liberalismo minore ed individualistico e il cattolicesimo statalista.
Musso, in preda ad una incurabile sindrome elitaria, non ha una collocazione culturale al passo con i tempi, non ha uno spazio politico né un seguito di popolo nel nostro Partito. Restiamo in attesa che venga accolto l’invito perentorio rivoltogli dall’avvocato Francesca Gnocchi (13 luglio 2010) a lasciare il Partito in cui non crede. Papini non riesce a dare una dimensione e un ruolo a Musso. Proviamo a darlo noi.
Forse Musso appartiene a quel mito esistenziale nato nel territorio della vita civile vissuta ai margini di una vera politica. Quello del giovanilismo, naturalmente, on the road, di vitalistiche cavalcate (nel caso suo di bici) easy, auto-proponendosi a se stesso. L’eterno mito di Peter Pan e precisamente nei panni di quel giovane Holden, idiosintocratico ad ogni etica di responsabilità.

Il ragazzo creato da Silìnger divenuto simbolo del narcisismo e dell’auto-referenzialità. Sentimenti che riecheggiano nel cinema di Nanni Moretti a una dimensione, nella perenne ricerca della propria identità e spettatore di se stesso.

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