«Caso Noemi»? Solo una figura da peracottari

Caro Granzotto, cosa resta in questo scorcio d’estate del «Caso Noemi» che avrebbe dovuto provocare uno scossone tale da determinare la caduta del governo e il ricorso alle urne? Lo «scandalo» s’è dissolto come nebbia al sole. Quanto inchiostro, quanta carta, quanta anidride carbonica è andata ad alimentare il riscaldamento globale! E quanto impegno, quanta fatica e quanto livore sprecati inutilmente! Dalle mie parti dicono che il tempo è galantuomo. Confermato.

E la figura da peracottari dei repubblicones non ce la mette, caro Vercellini? Col senno del poi viene da chiedersi come abbiano potuto suonare la carica e cacciarsi in quel pasticcio, mettendoci tutta la loro sussiegosa faccia, avendo in mano solo le confidenze d’una donna da letto. Chissà, forse il Fondatore, Eugenio Scalfari che ha l’età giusta, si ricordava di certa Christine Keeler (anch’ella femmina da letto, ma di ben altro temperamento e sembiante) che nel 1963 mandò a gambe all’aria il governo di Harold McMillan. Il fatto è che l’MI5, cioè gli zerozerosette, vennero a sapere che la Keeler si coricava alternativamente con il ministro della Guerra John Profumo e con l’addetto militare dell’ambasciata sovietica Yevgeny Ivanov. In tempi di guerra fredda essere partecipi di un «paso doble» del genere – si sa che nell’intimità dell’alcova può sempre scappare una parola di troppo – rischiava di mettere a repentaglio la sicurezza nazionale. Ed è per questo motivo, non per le sue birbanterie galanti, che Profumo dovette dimettersi trascinando nell’onta l’intero governo di Sua Maestà britannica.
Ben altra storia, vero caro Vercellini?, di quella che vide protagonista Patrizia, la Mata Hari de noantri. Che nemmeno il buon Topolanek riuscì a incrociare nella sua fuggevole e ginnica permanenza a villa Certosa. Mancando del tutto l’ubi consistam, poteva dunque non essere un flop annunciato lo «scandalo» montato su a Largo Fochetti? Fragorosa fucina del Grande Giornalismo? Libero, indipendente e, va da sé, democratico? Che però, a ben vedere, i repubblicones un merito l’hanno avuto: il fornire facili spunti ai querimoniosi moralisti un tanto al chilo. Quelli che scrivono tirando un sospiro a ogni virgola e alzando gli occhi al cielo a ogni punto. Faccio un esempio: proprio mentre l’Italia avidamente consumava il residuo delle ferie, Massimo Gramellini, corsivista de La Stampa, non ti è andato a stancamente ripestare il batacchio nel mortaio di villa Certosa? Uomo di buone letture, confessò d’aver appreso da Novella 2000 che secondo un sondaggio il 70 per cento degli italiani avrebbe con grandissimo piacere trascorso il Ferragosto proprio lì, a villa Certosa. E questa, annotava Gramellini, era la brutta notizia. La bella era, invece, che il restante 30 per cento, manco morto. «Immaginavo fossero molti, ma molti di meno», chiosa il moralista subalpino. «Colpa dei pregiudizi che mi portano spesso a sottovalutare le risorse morali di questo straordinario Paese».
Allora: chi non direbbe di no a un weekend a villa Certosa - una Gardaland di extralusso, tutti i confort possibili e immaginabili – è un amorale e, come vedremo subito, un evasore fiscale, un ignorante e uno che non pensa con la propria pancia. Perché? Boh. Chi al contrario proclama che mai e poi mai ci metterebbe piede risulta essere, all’occhiuto Gramellini, la parte sana della nazione.

E cioè: «Gli italiani che non evadono il fisco. Che leggono libri. Che si risvegliano dal torpore e pensano, ridono, piangono e si appassionano con la propria pancia e la propria testa». No comment, come direbbe Patrizia D’Addario.

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