Roma - A forza di «smacchiare il leopardo» e «spalmare l’Autan alle zanzare» Bersani ha perso la misura. La class action di partito contro i giornali che raccontano le tangenti del Pd però non è una battuta di Crozza-Bersani, è proprio di Bersani, e pare non scherzasse. Chi non l’ha presa bene sono i suoi - in altre occasioni - amici o simpatizzanti, la stampa non abituata, come altri, ad essere schifata come «macchina del fango», e che dunque risentita risponde al segretario. Persino Europa, che è un quotidiano di partito, o meglio del Pd, titola in prima sullo «Sfogo sbagliato, così sarà peggio». Nell’editoriale di Giovanni Cocconi, firma dell’ex quotidiano della Margherita, si contesta il cambio di passo di Bersani, passato dall’autodifesa (per quanto claudicante, con la lettera al Corriere in cui rivendica una diversità «non genetica, ma politica» rispetto alle mazzette di destra) all’attacco indistinto ai giornali che hanno indagato sul sistema di appalti e favori emerso da diverse inchieste che puntano su pezzi da novanta del Partito democratico, dalla Lombardia alla Puglia (ma qualcuno si dimentica della Campania?).
«Dunque in Italia si è messa in moto una macchina del fango che intende distruggere il Pd? Forse che le notizie che arrivano da Monza non sono così gravi da giustificare l’interesse della stampa? Forse che la stampa italiana non si è occupata a lungo anche di P3 e P4, solo per citare le inchieste più recenti»? si domanda un quotidiano che sotto la sua testata riporta un rametto d’ulivo per separare le parole «partito» e «democratico». Tanto per capire quando Bersani abbia colto nel segno imitando il suo amico D’Alema nell’ossessione anti-giornalistica (soprattutto quando si occupano degli affari degli ex Ds o del Pd). Su Repubblica il fondatore Scalfari non commenta l’uscita sulle «macchine del fango» ma fa una lezione al segretario che, da quelle colonne lì, non è un bel risveglio per Bersani. Il succo: la diversità morale del Pci di Berlinguer è roba d’archivio, «le tentazioni e le occasioni ci sono ormai sia a destra che a sinistra», che è un modo delicato per dire al Pd che non è diverso né politicamente né in niente.
Ma è sul Fatto che arrivano le botte più pesanti. Non solo dalla direzione, ma anche da - il che è molto peggio - un’editorialista di Repubblica, Barbara Spinelli, lì da poco ritornata (è stata tra i fondatori) dopo aver mollato la Stampa per meglio affiatarsi con la campagna sulla «fine del berlusconismo». Intervistata da Travaglio con la formula del «tu», la figlia di Altiero Spinelli (e già compagna di Tommaso Padoa-Schioppa), tira una bordata dietro l’altra contro Bersani e le sue minacce. La prima è questa: «Mi pare di assistere a un film horror berlusconiano con sottotitoli in sovietico». La seconda eccola: «Class action? Cast action mi pare più appropriato, perché le sue minacce alla stampa sono a difesa della casta, non certo dei militanti del Pd, che meriterebbero difensori migliori. La vera class action i militanti dovrebbero farla contro i vari Penati, Pronzato, Tedesco e contro chi li difende in gruppo». Bùm, affondati.
Nella prima pagina anche il direttore Antonio Padellaro fa il contropelo al segretario, pur apprezzato per le spiegazioni date al Fatto in una lettera. «Stavamo pensando: diamine questo è un parlare chiaro, quando ci è giunta notizia della “class action”». Contestare le accuse sì, ma equiparare il Fatto alle macchine del fango ben oliate del centrodestra, quello è inaccettabile.
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