Il caso Quelli del «trust»

Ci sono i figli bamboccioni di genitori protettivi che preparano carriere, tengono al caldo posti di lavoro, spianano autostrade al futuro dorato dell’eletta prole. E ci sono i padri che non si fidano facilmente. Che preferiscono temprare gli eredi prima di mettergli in mano una qualche responsabilità. Essere sicuri che il patrimonio di famiglia non svanisca come il vapore delle piscine termali.
«Sono casi sempre più frequenti», spiega il professor Maurizio Lupoi, ordinario di Sistemi giuridici comparati all’università di Genova e presidente dell’associazione «Il trust in Italia». Proprio il trust è la formula che più sta prendendo piede tra chi non vuole mammoni in famiglia. Non esistono dati ufficiali, non c’è un’anagrafe dei trust anche se i relativi atti notarili sono depositati all’Ufficio del registro. «In base alla mia esperienza direi che in Italia esistono già alcune migliaia di casi e almeno 200 sentenze della magistratura che fanno giurisprudenza», dice Lupoi. Grandi nomi dell’imprenditoria italiana si sono affidati al trust per gestire il patrimonio familiare: i Ligresti e i De Longhi, personaggi come Flavio Briatore e Stefano Ricucci, i Berger (azionisti della Saes Getters), gli industriali tessili Ratti, un imprenditore dell’information technology come Pietro Andrea Cioffi, titolare della Tc sistema, società quotata in Borsa. I Del Vecchio, invece, hanno preferito separare la nuda proprietà del patrimonio (conferita agli eredi) e il suo usufrutto.
Il trust è un’idea semplice dall’applicazione complessa. Poniamo che un capoazienda decida di passare la mano senza aver ancora individuato l’erede più adatto in casa: egli può stipulare un accordo con un «trustee» che garantisce la corretta amministrazione del patrimonio per tutto il tempo necessario. «È un proprietario temporaneo, un garante - dice il professor Lupoi - non necessariamente un manager, anzi il trustee spesso conferma il management aziendale. Il suo compito non è amministrare direttamente, magari non lo faceva nemmeno il capoazienda. Lui deve salvaguardare una corretta conduzione della società e identificare la persona giusta cui consegnare il patrimonio in futuro». Il problema è che il trust non è disciplinato dalla legge italiana. È un rapporto giuridico preso dal diritto anglosassone, che regola la materia secondo la common law, cioè la giurisprudenza, e non con la civil law, ovvero i testi scritti. Ma numerosi Paesi nel mondo regolamentano i trust con varie differenze. Chiarisce Lupoi: «Nei trust stipulati in Italia bisogna fare esplicito riferimento a quale normativa ci si riferisce. Testi di legge molto seguiti sono quelli delle isole Jersey o di San Marino». Naturalmente, specifica l’avvocato Liviano Sinopoli, legale specializzato nel settore, non devono essere violati i cardini del nostro ordinamento: «Per esempio, un trust successorio deve rispettare le quote di legittima degli eredi».
Jersey, San Marino, e anche qualche paradiso fiscale, come le Cayman. Il sospetto che dietro queste operazioni si celino tentativi di elusione fiscale è inevitabile. «Ma anche infondato - ribatte il professor Lupoi. Il riferimento alle leggi straniere è necessario per regolare i rapporti, ma tutta la parte tributaria obbedisce alle leggi italiane. Non ci sono vantaggi fiscali per questi trust interni. Diverso è il caso dei trust costituiti all’estero, con società, beni, patrimoni, rapporti bancari, professionisti fuori Italia».
Uno strumento elastico, adattabile, che garantisce tutte le parti in causa e consente di trasferire il patrimonio di famiglia alla persona giusta al momento giusto. «Vincola i soggetti per un determinato scopo evitando che il trustee si appropri dei beni - dice Sinopoli - Per questo il trust si sta progressivamente allargando a nuovi ambiti. Lo scorso agosto l’Agenzia delle entrate ha riconosciuto il trust onlus, che si affianca alle fondazioni nel perseguire finalità pubbliche e sociali con capitali inferiori e più facili da movimentare.

C’è anche il trust liquidatorio, al quale per esempio un imprenditore gravato di debiti può conferire i propri beni per cederli e soddisfare i creditori evitando il calvario delle procedure concorsuali. Con il vantaggio di poter vendere a prezzi di mercato».

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