Gianluigi Nuzzi
da Milano
«Nessuna misura cautelare poteva essere applicata», «inconsistenza di qualsiasi esigenza cautelare in via urgente» e ancora una «evidente incompetenza territoriale». Il Tribunale del Riesame di Potenza ridimensiona la maxi-inchiesta del pm di Potenza Henry John Woodcock che lo scorso 15 giugno portò in carcere Vittorio Emanuele di Savoia e alcuni presunti complici per associazione per delinquere, sfruttamento della prostituzione e corruzione. E dispone la libertà totale per Gian Nicolino Narducci, segretario personale del principe, anche lui finito dietro le sbarre arrestato nella retata dello scorso 15 giugno. Per il Tribunale, sollecitato dal difensore Giacomo Francini, cade anche lultima misura cautelare espressa dal gip Alberto Iannuzzi: non è necessario nemmeno lobbligo di dimora. Mentre prima i giudici del Riesame avevano revocato le precedenti misure cautelari perché si erano affievolite le esigenze restrittive, ora entra nel merito delle accuse criticando le scelte del pm e del gip. Si parte da uno dei pilastri portanti dellaccusa, lo sfruttamento della prostituzione. Il gruppo capeggiato da Vittorio Emanuele finì infatti dietro le sbarre anche perché avrebbe gestito un gruppo di squillo.
Ebbene, per il Tribunale della Libertà oltre a una radicale «incompetenza territoriale», sottolinea «la insussistenza di qualsiasi esigenza cautelare da salvaguardare in via urgente». Persino per il presunto episodio di corruzione al posto di frontiera del Traforo del Monte Bianco, il Tribunale valorizza la difesa resa dal presunto funzionario corrotto, Vincenzo Puliafito, dicendo che ha offerto «precise, documentate e circostanziate spiegazioni». Che si sono rivelate «idonee a scalfire la gravità indiziaria fondata esclusivamente su alcune intercettazioni successivamente oggetto di chiarimento da parte del funzionario; in ogni caso deve essere ribadito che in relazione a tale episodio non è possibile ravvisare alcuna esigenza cautelare idonea a giustificare la permanenza in vita di qualsivoglia provvedimento restrittivo». Altra accusa tra le più pesanti nellordinanza della retata e per il Narducci, quantomeno in termini di ipotetica condanna, era quella di aver riciclato tre milioni di euro depositando la somma su un conto del Credito Sanmarinese. Ebbene qui i giudici sono particolarmente critici. «Oltre allevidente incompetenza territoriale del Tribunale di Potenza - si legge nellordinanza - deve rilevarsi lassoluta insussistenza della soglia della gravità indiziaria necessaria per lapplicazione delle misure cautelari». In altre parole gli indizi raccolti non permettevano di mandare in carcere Narducci per riciclaggio. E le intercettazioni telefoniche sbandierate per settimane sui giornali? Proprio per questultimo capo di imputazione - sono sempre osservazioni del Tribunale del Riesame - «non erano di facile interpretazione ma idonee unicamente a generare un mero sospetto in ordine allillecita provenienza delle somme oggetto delle operazioni presso il Credito Sanmarinese. In assenza pertanto di riscontri concretamente rivolti a dare sostanza a tale sospetto appare evidente che nessuna misura cautelare poteva essere applicata e può oggi essere mantenuta per tale imputazione».
Le accuse di Narducci finiscono così come i petali della margherita. In piedi rimane solo lassociazione per delinquere e le ipotesi di corruzione dei funzionari dei Monopoli di Stato nel troncone mandato al Tribunale di Roma per competenza territoriale. Che però se dovesse finire con una condanna, visto per il Riesame lo scarso rilievo partecipativo del Narducci, lincensuratezza e letà, questa sarà sotto i tre anni.
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