Roma«Il caso è chiuso». Ha usato proprio questa formula da Hercule Poirot ieri una portavoce della Commissione europea a Bruxelles. Una soluzione semplicissima del giallo, un finale anticipato dal ministro dellEconomia Giulio Tremonti martedì. Quattro parole di archiviazione di tutta la polemica italiana che devono aver gelato Sky, i difensori sinceri di Sky e i difensori politici di Sky. La posizione di Bruxelles è lultima ed è un sì: dal momento che il governo italiano ha deciso, allinterno del decreto anticrisi, di uniformare le aliquote Iva dei canali del digitale terrestre e del satellitare, portando limposta per Sky al 20%, lEuropa non ha più niente da dire. Se anzi il governo di Roma non si fosse mosso in questo modo, se non avesse corretto l'anomalia delle aliquote differenti per diversi tipi di tv a pagamento, «la Commissione avrebbe aperto una procedura dinfrazione contro lItalia». Perché lIva di Sky era un tema europeo, e non certo una trovata del governo Berlusconi.
È esattamente quello che aveva spiegato ventiquattrore prima il ministro Tremonti. Il governo Prodi sapeva, quel governo «si era impegnato con lEuropa», aveva annunciato stupendo tutti. E citava un lungo carteggio tra Roma e Bruxelles, partito nellottobre del 2007, in cui la Commissione chiedeva allItalia di allineare lIva della satellitare Sky (10%) e quella dei canali del digitale terrestre (20%) dopo un ricorso ricevuto da Mediaset.
Tutto confermato da Bruxelles, dove negli ultimi mesi non sono stati certo clementi con il nuovo governo Berlusconi, piuttosto critici e puntigliosi, anzi. Tutte ribadite le parole di Tremonti, compreso il rischio di apertura di una procedura dinfrazione se lItalia non avesse rispettato la indicazioni della Commissione sul riallineamento dellIva per le pay tv. «Non cè alcuna procedura dinfrazione», proclamava sicuro lex viceministro di Prodi Vincenzo Visco in unintervista. Figurarsi se cè, facevano coro dallopposizione. E invece no, aveva ragione Tremonti, quelleventualità esisteva, pesava e stava per essere applicata. E sono state le ultime decisioni contenute nel pacchetto anticrisi a evitarla: «Nel momento in cui il governo ammette che vi è un problema e ci informa di avervi posto rimedio con decisioni adeguate - ha chiarito la portavoce della Commissione - il caso è chiuso».
Si può allora imbastire una polemica post-archiviazione, dopo la chiusura del caso. Si può notare infatti che tra le varie lettere spedite allItalia, in una di aprile in particolare la Commissione insisteva sullesigenza di una «neutralità fiscale» tra Sky e la concorrenza che si trovava appesantita da unIva doppia. E si ipotizzava: «La Commissione è del parere che le trasmissioni via etere (Dvb-T, il cosiddetto digitale terrestre) debbano essere soggette a unaliquota Iva ridotta identica a quella applicata alle stesse trasmissioni trasmesse utilizzando le piattaforme tecniche Dvb-C e Dvb-S (tv via cavo e satellitari) e che questo aspetto della legislazione italiana debba essere modificato». Si suggeriva quindi un abbassamento dellIva per il digitale terrestre di Mediaset, anche se il concetto di base era quello della non discriminazione, dellallineamento, la neutralità.
Ma non è corretto dire che la Ue chiedeva la riduzione per tutti al 10%. Ha chiarito infatti ieri la portavoce Ue: «Nel 2007 Bruxelles ha inviato una lettera allItalia per lamentare il tasso diverso di Iva, in alcuni casi al 10%, in altri al 20%, quindi questa aliquota andava allineata, in modo da renderla uguale per tutti. Il governo doveva decidere se tutti al 10% o al 20%, perché sul tasso è il Paese che decide, non noi». La decisione sarebbe spettata allItalia.
Il governo Berlusconi doveva dunque scegliere se dimezzare lIva di Mediaset o raddoppiare quella di Sky.
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