«Dopo il caso Vallettopoli ho pensato di uccidermi»

Lele Mora comincia la scalata al successo partendo da Bagnolo di Po. La capacità imprenditoriale e l’incontro con le persone giuste lo portano verso la realizzazione del suo sogno: diventare il manager delle star. Nell’89, però, viene coinvolto nell’inchiesta «la coca dei vip», e il sogno diventa incubo. «Frequentavo personaggi di rilievo e in mezzo c’era anche qualche peccatore. Il pm sperava che potessi rivelare chissà quali misteri sui traffici di coca, invece io ero all’oscuro di tutto. L’istruttoria durò venti giorni e in attesa di giudizio dovetti farmi tre mesi di carcere cautelare, a Verona. Mio padre, quando mi è venuto a trovare, si è sentito male. Uno strazio. Ogni giorno dentro di me dicevo: “Prima o poi esco perché io queste cose non le ho mai fatte».
Come ne è uscito?
«Sbandato. Perso. Con addosso la grande vergogna di essere stato in galera. Poi c’era tristezza, angoscia per il dolore che avevo causato ai miei genitori infangando il nostro nome. Quella vicenda aveva convinto tutti che io facessi uso di cocaina, invece a me la droga e i drogati mi hanno sempre fatto paura. Poi però ho ricominciato con grande dignità».
Cos’ha imparato?
«Se decidi di frequentare un certo tipo di persone devi sapere che prima o poi in qualche cosa vieni preso in mezzo. Una grande lezione di vita!».
Ripercussioni sul lavoro?
«La mia immagine aveva subito un danno e ho dovuto chiudere alcuni miei negozi. Apro una parentesi: Lele Mora parrucchiere è una leggenda. Mi sono diplomato alla scuola alberghiera con il massimo dei voti, poi mi sono laureato in economia e commercio. Sono un bravo imprenditore e insieme a un mio amico parrucchiere avevo deciso di aprire dei negozi, piano piano sono diventati sei. Lui faceva i capelli e io le pubbliche relazioni».
Poi tutto è tornato come prima, più di prima. Arriva il successo, ma anche le critiche a uno stile di vita ostentato. È il 2004, esce una foto in cui è steso, ha gli occhi chiusi, due ragazzi a torso nudo le massaggiano i piedi.
«Una foto rubata a casa che, mostrando solo un istante di un momento più ampio e di un gesto goliardico, presenta una realtà falsata. Il risultato sul piano mediatico è stato pesante e ha contribuito a formare un’immagine di me che non mi somiglia».
Ma rimane all’apice del successo fino al 2006, quando viene coinvolto in Vallettopoli.
«La mattina ho letto la notizia sui giornali, la sera ho fatto un sogno premonitore: ho visto il mio volto sugli schermi di Porta a Porta. La sera dopo su quei monitor il mio volto c’era per davvero: “Ecco, questa volta è tutto finito, trent’anni di lavoro in cenere”».
Ha saputo del suo coinvolgimento dai media?
«Era il 4 dicembre, alle 6,30 del mattino ho acceso la tv per vedere le notizie, parlavano di me. Uno shock. Il telefono squillava di continuo: “Ma cosa succede?”, non sapevo cosa dire. Poi silenzio totale fino all’11 marzo del 2007, quando alla porta di casa hanno bussato otto poliziotti, in mano avevano un fascicolo enorme. Mi sono sentito morire: “Ma siete venuti ad arrestarmi? Perché mi preparo delle cose”, e loro composti, gentili: “Dobbiamo vedere cosa c’è scritto qui dentro”. C’era solo il ritiro del passaporto. Poi hanno perquisito la casa, nel frattempo sul mio cellulare era arrivata la notizia dell’arresto di Corona».
Un colpo al cuore?
«Sì. Corona l’ho cresciuto. Gli voglio bene, il bene non va via così, resta. Lui in quel periodo aveva un po’ esagerato, era al limite di tutto, ma non era così forte come lo dipingevano. Da lì è cominciato il brutto, due anni da incubo in cui ho cercato di far capire ai magistrati che non c’entravo niente. Ci sono riuscito. Sono stato prosciolto».
Ma arriva la Finanza.
«Spendevo molto per le pubbliche relazioni e scaricavo tanto. Ho fatto molti errori. Se ti dai agli eccessi è facile sbagliare. Con l’ufficio delle entrate stiamo definendo come pagare il debito. Il 18 febbraio si chiude questa fase, spero al meglio».
Da tutto questo è uscito pulito, ma svuotato, stanco. Poi c’è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, la morte di due amici.
«Era agosto del 2008. Appena sbarcato a Cuba per le vacanze ha squillato il cellulare. Elvis, un mio grande amico, si era rotto l’osso del collo nel gioco dei tuffi. Mi ha preso una tristezza profonda. Sono tornato quasi subito in Italia, in Sardegna, senza dire niente a nessuno. Ho chiamato solo Antonello Zara, di Uomini & Donne, per venirmi a prendere all’aeroporto, ma lui quella sera non poteva, aveva conosciuto una ragazza, se n’era innamorato. La mattina dopo mi sveglio e Antonello non c’è più. Quella notte una macchina ha invaso la sua corsia, lo ha ucciso. Era come un figlio. Un ragazzo onesto, pulito. Dopo il funerale sono tornato a Milano. Mi sono messo nel letto e non sono più riuscito ad alzarmi».
Depressione?
«Quella vera. Tutto questo mi aveva annientato. Non riuscivo neanche ad andare in bagno da solo, a lavarmi. Terribile».
Cosa passava nella sua testa in quei momenti?
«Mi dicevo: “Cosa faccio qua, conciato così, un uomo grintoso come me, distrutto da tutto. Chi me lo fa fare a vivere. Se me ne vado faccio felice tanta gente”. Volevo uccidermi».
Lo ha solo pensato o ci ha provato?
«L’ho desiderato molte volte, intensamente, ma non ho avuto il coraggio di farlo. Poi ho pensato a mia figlia che mi ama più della sua vita, l’avrei distrutta. Mi sono curato. La vita è un dono meraviglioso, va rispettato».
I farmaci sono importanti per uscire dal male oscuro?
«Ti danno la forza di vedere uno spiraglio di luce nel buio, poi devi essere tu a volerlo seguire. Mia madre mi dice sempre: “Più buio di mezzanotte non può fare, poi arriva l’alba”. E così, un po’ i farmaci, un po’ i miei figli e le mie amiche che mi hanno costretto a tornare al lavoro, il vero Mora è riemerso più grintoso di prima».
Le amiche sono Alda D’Eusanio, Sabrina Ferilli, Fatma Ruffini. Simona Ventura invece si è allontanata durante Vallettopoli, lei l'ha criticata per questo. E le colpe di Mora?
«C’è stato un momento in cui era nata in me la voglia di apparire a tutti i costi e questo non è sempre un bene. Prima di Vallettopoli Simona mi diceva: “Tu non devi apparire, tu sei l’agente, devi stare dietro le quinte”, me lo diceva sempre anche la Ferilli, io invece facevo di testa mia. Forse anche per questo si è allontanata, perché non l’ascoltavo. Poi è arrivata Vallettopoli e mi ha detto: “O me o Corona”. Ho scelto Corona».
Scelta difficile.
«Molto. Io e Simona professionalmente siamo cresciuti insieme. Eravamo una coppia forte, affiatata, e il successo era in crescendo. Sono diventato Lele Mora anche grazie a lei, una grande professionista che nel suo lavoro si è sempre impegnata. Per questo la devo ringraziare. Io ero solo il burattinaio che tirava i fili per andare avanti, che faceva in modo che tutto fosse perfetto».
Con Corona dove ha sbagliato?
«L’ho lasciato fare troppe volte. Se tu vuoi che un albero cresca diritto devi mettere il palo e legarlo, se lo lasci andare cresce storto. Lui è rimasto abbagliato dal successo e dal denaro: il primo è una bestia da domare, il secondo è diventato una malattia, lui ne vuole sempre di più. Dovrebbe curarsi, lo dico con affetto, i soldi sono solo un mezzo, nella vita ci sono cose più importanti».
Come i figli. Lei li ha avuti giovanissimo. Si è sposato a 18 anni, si è separato presto.
«Eravamo troppo giovani, ci siamo sposati dopo quattro mesi di fidanzamento, c’era di mezzo il militare che non volevo fare. Da una parte un grande errore, dall’altra mi ha dato una gioia immensa: due figli e una nipote che amo follemente. Lavorano con me, sono attenti a tutto, mi sono vicini».
Loro sì, ma altri l’hanno lasciata nel momento del bisogno.

Chi è molto egocentrico pensa che dagli altri può ricevere solo applausi e amore, ma quando si rende conto che non è così?
«Io amo stare al centro dell’attenzione, ma so anche mettermi in disparte. Quando ti trovi rifiutato nei contesti dove prima eri acclamato, ti viene voglia di uccidere il mondo. Poi rifletti e dici: “Forse me lo sono meritato” e riparti da lì».

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