IL CASO VERONICA

La schiettezza con cui una parte del centrosinistra, certamente le sue componenti sincere, cerca e cercherà di accalappiare a fini elettorali le vicende personali del premier, in una spirale degenerativa che giunge persino a fare un mondezzaio sull’autenticità delle foto di una festa, merita una riflessione. La deriva gossipara della sinistra, che fa strame di ciò che fu cattocomunismo e del comune senso del pudore politico, nasce dal ribaltamento dell’adagio sessantottino che «il privato è politico» nell’ancora più nefasto «il politico è privato». In questo senso: se di politica la sinistra ha poco di cui parlare, per le note ragioni di astenia culturale e marginalità tematica, allora buttiamoci sul privato, sferriamo l’attacco negli angoli della riservatezza dell’uomo politico, politicizziamo le sue vicende familiari. Rendiamole pubbliche, applicando lo stesso procedimento di popolarizzazione che funziona nei talk show della tanto vituperata tv-spazzatura, oppure sfruttiamo le finestre di opportunità della politica e dei suoi grandi eventi per fare pubblicità familiare o politicizzare sentimenti privati. Cos’altro ha fatto, in un tipico caso di marketing politico, Sergio Castellitto portando sul palco di piazza San Giovanni il libro della moglie Margaret Mazzantini? E la risposta «scusate se me la sono sposata» è tipico esempio di politicizzazione, in questo caso di sindacalizzazione, del privato familiare. Quando un sapiente coltivatore del trash come Mario Adinolfi intravede nella vicenda-Veronica un’opportunità per spostare consensi, trasferisce in campo politico il santo principio dell’audience che punta a stuzzicare le umane morbosità, peraltro ben sviluppate nel pubblico italiano, con lo scopo di tenere la gente incollata al televisore, trasformando gli studi televisivi in tinelli, cortili condominiali, camere da letto a porte aperte. Se poi queste moine non spostano voti, pazienza, di fronte all’alternativa della canna del gas almeno ci abbiamo provato, abbiamo tentato anche noi di scrivere un canovaccio per quella politica-format che un Edmondo Berselli schifa ma che il giornale per cui scrive, per non parlare dell’Unità delle impari opportunità concitiane, mostra talvolta di non disdegnare. Non stiamo a discutere se questi atteggiamenti siano leciti o consoni, legittimi o sgangherati, sennò qualcuno farà risorgere il caso-Sircana. Epperò la deriva trash della sinistra per mezzo della politicizzazione del privato o della soapizzazione del conflitto politico è un dato di fatto che scava un fossato tra il vecchio difetto del radical chic e la nuova tendenza al radical kitsch. Non è per i leader del Partito democratico perennemente immortalati dal Cafonal, Veltroni che pianta l’ombrellone a Sabaudia per mostrare quant’è nazionalpopolare o Massimo Cacciari che heideggerianamente dà delle «teste di cazzo» ai fotografi che hanno costruito la sua fama di seduttore. La faccenda è più profonda: è che la sinistra, accusata per anni di manifesto senso di superiorità verso le plebi che si abbottano di televisione e rotocalchi, ha rotto gli argini, ha riletto male Gramsci, Umberto Eco e Stuart Hall e ha mandato a quel paese la sacra distinzione tra l’alto e il basso culturale, tra la cultura alta e quella popolare, come già consigliavano perle stracult come Dalla supercazzola al cane di Mustafà del critico del manifesto Marco Giusti. Perso il popolo, sta cercando (male) di farsi popular, all’anglosassone, merce di godimento popolare. Se gli operai in fabbrica votano a destra, ripieghiamo sulla factory. Se non comprendiamo i trend, accontentiamoci del trendy. Se la Storia marcia in un’altra direzione, c’è sempre la Soap. Se la realtà non ci piace, abbiamo pur sempre i reality.

Per l’appunto: la sinistra culturale e politica ha passato giorni a interrogarsi su quanto sono “de sinistra” I Cesaroni, ha da poco finito di scannarsi sulla presenza di Vladimir Luxuria all’Isola dei famosi, è passata per il confronto tra il neopasoliniano Walter Siti e il neocatastrofista Marco Belpoliti sui «gruppi di ascolto» di intellettuali sinistresi organizzati per visioni collettive di X Factor. Adesso spunta il veronichismo, fase terminale del radical-kitschismo. Ci vediamo alla prossima puntata.

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