Cassano, il monello che calcia lattine in un film

La gioventù, i vicoli, gli urli di un ragazzo che impedì a sua madre di vedere il Papa. Ed è già un mito

Giuseppe De Bellis

Nei sogni si palleggia con le lattine: destro, sinistro, tacco, spalla, testa, destro, sinistro. Antonio Cassano esce da casa in un giorno in cui Bari profuma di mare, ha appena urlato alla mamma che vive con lui in un sottano della città vecchia: «Mà, la maglietta». La signora sta guardando il Papa alla tv, si spazientisce perché quello urla senza motivo, perché è un vastasiello, un monello dai modi un po’ cafoni. Poi, però, lo guarda e gliela consegna. Allora lui va: nei vicoli storti e perfetti di quel fortino che è il Borgo Antico: destro, sinistro, tacco, spalla, testa, destro, sinistro.
Tonino Cassano a Bari è una persona comune: è il viso di ogni ragazzo e la follia della adolescenza. È una prospettiva sicura. «Sei come a Cassano», significa essere emancipato. Vuol dire che ce l’hai fatta. Come a Cassano è un cortometraggio che domani sarà proiettato per la prima volta. È una storia, è una giornata di primavera che dura 13 minuti. È il dialetto aspro e musicale, il sarcasmo, l’ironia, la voglia di uscire dalle mura di una cittadella marchiata dall’illegalità del passato. È Bari e il suo rapporto con un ragazzo difficile, ma amato come poche altre cose. Perché Cassano a Bari non è quello che se-no-avesse-fatto-il-calciatore-sarebbe-finito-male. No, è una parola che riempie la bocca. Lo sa Pippo Mezzapesa, sceneggiatore e regista di questo corto, lo sa Antonella Gaeta, altra scenecciatrice. Lo sa anche Vincenzo De Benedictis che s’è sentito grande a interpretare un Tonino piccolo. Allora Vincenzo vive i suoi 13 minuti come a Cassano, sull’autobus che lo scarrozza in giro per la città.
Quel mezzo lo porta da casa al campo della Pro Inter dove il calciatore del Real Madrid ha cominciato a giocare e dove lo aspetta Dino Abbrescia, l’allenatore: «Avarrvat u’ cambion». Allora il ragazzino abbassa la testa e arriva negli spogliatoi. Lì i compagni aprono gli armadietti e trovano i santini: santi e madonne da venerare, nella speranza che stavola li facciano vincere. Lui invece ha una figurina di Antonio, quello vero, quello che da Strada San Bartolomeo è arrivato al Santiago Bernabeu: «Ti prego, Antò. Fammi giocare, almeno stavolta». Vincenzo nel film è Cassano, ma non quello vero, è uno dei mille Antonio Cassano che abitano a Bari. Tutti orgoliosi di chiamarsi come l’ex baby fenomeno, non tutti uguali nella vita e nel campo. Fanno il suo percorso, ma si fermano a metà. A volte prima perché non hanno il dono divino di un piede fatato, che non urleranno mai di gioia di fronte a una curva in visibilio, ma continueranno a calciare lattine nelle strade.

Tonino del film sorride sempre e si sente un campione. Esce dallo spogliatoio in una partita che non ha mai giocato e un ragazzino lo aspetta: «Mi fai un autografo?». Tonino firma convinto e il tifoso gode: «Mò, come a Cassano».

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