Cassazione: le raccomandazioni dei politici? Sono concussione anche se non funzionano

I politici che esercitano funzioni di pubblico ufficiale, rivestendo incarichi nelle amministrazioni locali, commettono tentata concussione quando cercano di condizionare le assunzioni clientelari anche se non hanno il potere di mettere in atto le «minacce» con le quali esercitano pressioni sui datori di lavoro ai quali raccomandano i loro «protetti».
Lo sottolinea la Cassazione (sentenza 38617) annullando l’assoluzione dell’ex presidente del consiglio comunale di Afragola (Napoli), Vincenzo Nespoli. Quest’ultimo, infatti, tra l’agosto del 1998 e il febbraio 1999 «aveva esercitato ripetute pressioni sui responsabili di un ipermercato di prossima apertura affinché assumessero 250 persone nominativamente segnalate, prospettando implicitamente, in caso contrario, la frapposizione di ostacoli all’avvio operativo della struttura commerciale».
In primo grado Nespoli era stato condannato, dal Tribunale di Napoli nel 2004, a due anni di reclusione per tentativo continuato di concussione, con la concessione delle attenuanti. In appello, invece, nel 2007, Nespoli venne assolto con la formula piena «perché il fatto non sussiste». Ad avviso dei giudici di secondo grado l’imputato era innocente in quanto «nell’esercitare le pressioni sui vertici della società commerciale si era avvalso della sua autorevolezza politica e non della carica pubblica rivestita, alla quale era estraneo qualsiasi potere idoneo a essere strumentalizzato per creare ostacoli all’avvio dell’ipermercato».

Ma la Cassazione - accogliendo il reclamo della Procura della Corte d’appello di Napoli, contraria all’assoluzione - ha ordinato un nuovo processo a carico di Nespoli poiché la concussione «è configurabile anche nel caso in cui il pubblico ufficiale si attribuisca poteri estranei alla sua competenza, dato che l’abuso è riferibile anche ad atti non rientranti nella sua competenza funzionale».

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