«Dare del frocio a qualcuno è reato perché luso del termine indica senza dubbio un intento ingiurioso». Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, annullando una sentenza del giudice di pace di Teramo con la quale era stato assolto un uomo sulla base del fatto che quella parola non poteva essere considerata unoffesa. Limputato, un quarantenne abruzzese, era stato denunciato nel maggio 2005 per aver rivolto ad un suo conoscente lepiteto incriminato. Contro la sentenza di assoluzione hanno proposto ricorso per Cassazione la parte civile e il pubblico ministero. Richieste accolte dalla quinta sezione penale della Suprema Corte, secondo cui quella del collega abruzzese era una decisione contraria «alla logica ed alla sensibilità sociale che ravvisa nel termine frocio un chiaro intento di derisione e di scherno, espresso in forma graffiante». «Nettamente positivo» il giudizio di Franco Grillini, deputato dellUlivo e presidente onorario di Arcigay: «È evidente che la sentenza della Cassazione ha un ruolo importante perché assume un compito didattico di invitare al rispetto delle persone e ad evitare lutilizzo di una terminologia insultante e razzista». «Con ogni probabilità - ha proseguito Grillini - qualcuno griderà al complotto del politicamente corretto, sbagliando. Qui nessun fanatismo sulla correttezza terminologica e nemmeno si rivendicano ergastoli di sorta. Non a caso la stessa Cassazione ha demandato la sentenza ad un giudice di Pace che emetterà una sanzione amministrativa».
La sentenza di ieri è solo lultima di un ampio «campionario» in cui la Cassazione è stata chiamata ad esprimersi sulluso di parole ed epiteti: dal «Don Abbondio» utilizzato da un giornalista (condannato nellaprile 98) nei confronti di un magistrato al «coglione» riferito da un tenente dellEsercito (anche lui condannato nellaprile 1999) a un caporale, fino allassoluzione (nellagosto 2001) di un uomo accusato di aver dato del «rompicoglioni» al vicino di casa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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