Gianluigi Nuzzi
da Milano
Il processo a Mohamed Daki e ai due islamici assolti dallaccusa di terrorismo internazionale dalla Corte dassise dappello di Milano finirà presto davanti alla Suprema Corte per errori di interpretazione e di diritto. Il sostituto procuratore generale di Milano, Laura Bertolè Viale, non condivide le motivazioni dellassoluzione del marocchino, visto che non si considera reato inviare in Irak kamikaze pronti a farsi esplodere contro le truppe dellAlleanza. Insomma, si andrà in Cassazione. Ma le motivazioni della sentenza ne fanno subito un caso politico. «Dobbiamo ormai constatare - interviene il ministro Roberto Castelli - con enorme amarezza che certi nostri magistrati vivono e ragionano a distanza siderale dal comune sentire della gente. A questo punto mi sento in dovere di chiedere scusa alle centinaia di bambini, donne e uomini massacrati dai kamikaze e ai loro congiunti e amici. Non dobbiamo infatti dimenticare che la stragrande maggioranza di vittime sono stati innocenti civili. È in me enorme un sentimento di vergogna, amarezza e impotenza». Con lui, il Polo compatto che critica fortemente le argomentazioni dei giudici. Del resto per lestensore della sentenza, Rosario Caiazzo, le azioni terroristiche sono da ritenersi tali in un periodo di guerra quando sono «atti esclusivamente diretti contro la popolazione civile». Quindi non rientrano nellattività terroristica, né le azioni suicide, né, infine, «linstradamento di volontari verso lIrak per combattere contro i soldati americani». Questo perché «un atto può essere definito terroristico, in tempo di pace, anche quando determina solo un pericolo indiretto per la popolazione civile. Dato che durante un conflitto armato questo rischio è spesso presente, durante bombardamenti, scontri, ecco che bisogna ritenere terroristici e quindi perseguire «solo gli atti esclusivamente diretti contro la popolazione civile». Insomma, nemmeno le azioni suicide costituirebbero «sempre e di per sé un pericolo per la popolazione civile».
Bertolè Viale coglie basilari errori «in diritto» nelle motivazioni dAppello, errori che però e di fatto confermano la linea intrapresa dal gup Clementina Forleo in primo grado nel gennaio 2005. Quello più evidente è proprio sulla contestata definizione di terrorismo internazionale. Come la inquadrano i giudici della Corte dassise dappello, «non è contemplata nelle nostre norme, né nella convenzione Onu contro il terrorismo né in quella europea». Secondo punto: sempre per il sostituto procuratore generale, il terrorismo internazionale è un reato «di pericolo», va quindi perseguito e punito anche prima che si verifichi lazione. «Quindi - sottolinea Bertolè Viale - riguarda tutti militari e civili». «Ritiene questa Corte - si legge invece nelle pagine delle motivazioni - che sia provato che Bouyahia Maher e Toumi Alì (gli altri due imputati, ndr) hanno per un certo tempo collaborato con legiziano Meraj e il mullah Fouad nellaiutare volontari musulmani a trasferirsi dallEuropa in Irak per andare a combattere contro gli americani, munendoli di documenti didentità falsi), ma che non vi siano elementi per affermare che questa attività fosse finalizzata anche al compimento di attentati terroristici». Possibile? «Sia perché è certo che i volontari sono partiti dallEuropa per andare effettivamente a combattere contro quelli che consideravano gli invasori, sia perché azioni terroristiche vere e proprie sono comparse in Irak solo alcuni mesi dopo i fatti di causa, in una situazione che era profondamente mutata, perché era intervenuta la sconfitta militare ed era in corso loccupazione. Comunque manca la prova che gli imputati fossero consapevoli della predetta finalità».
La sentenza riaccende così le polemiche, con il ministro Carlo Giovanardi il quale chiede se «forse per qualche magistrato andrebbero storicamente rivalutati anche i reclutatori delle Ss italiane, francesi, scandinave che si macchiarono delle orrende stragi naziste durante la Seconda guerra mondiale». «Dai giudici di Milano - commenta Jole Santelli, sottosegretario alla Giustizia - più ideologia che giustizia. Sarebbe preferibile che la magistratura italiana si occupasse di amministrare la giustizia, piuttosto che adoperarsi in esercizi di filosofia politica». «È una decisione aberrante - commenta Alfredo Biondi (Fi) - spiace che sia stata pronunciata in nome del popolo italiano».
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