Castelli, il salmone lumbard che risale da Roma al lago

«Mi sento come un salmone», ha detto di sé che la campagna elettorale era appena incominciata. Ed è così, nuotando contro corrente, che il senatore e viceministro Roberto Castelli è arrivato alle urne sperando di aver risalito la scivolosa china della conquista di Lecco, la sua città.
La corrente che soffia da sinistra metteva in guardia da una nuova amministrazione targata centrodestra dopo la rovinosa caduta della leghista Antonella Reggi, la cui giunta è capitombolata sulle liti col Pdl? Lui, sul Carroccio da che Carroccio è in marcia, ha segnalato agli elettori che «sono bastati tre mesi di assenza di un sindaco della Lega e già Lecco è invasa da venditori abusivi», avvertendo poi che quel «brau bagai» del suo avversario, Virginio Brivio del Pd, è in realtà un «cavallo di troia», perché «porterà in Comune anche Rifondazione e tutta la banda del governo Prodi», la stessa che nel 2004 lo portò alla presidenza della Provincia. Ma è contro la corrente che spirava da destra, per la precisione quella dei finiani, che Castelli s’è dovuto difendere di più, vacci a capire. Il giorno in cui Gianfranco Fini se n’è uscito criticando i doppi incarichi, il senatore-viceministro-aspirante sindaco ha deciso di farne un punto di forza, chissà se l’idea gli sarebbe venuta lo stesso senza quella bordata. Da allora, Lecco è tappezzata di manifesti che sotto lo slogan «con Castelli Lecco conta» enumerano i vantaggi di avere un primo cittadino che sia anche uomo di governo.
Tanto per cominciare i danari, che da queste parti gli elettori versano malvolentieri nelle tasche di chi occupa poltrone pubbliche: «In qualità di uomo di governo, per legge non percepirò alcun emolumento e neppure dovrò avvalermi di auto e autista del Comune: nessuno stipendio, nessuna pensione». Tradotto: continuerò a portare a casa i soldi di «Roma ladrona», mentre quelli di casa nostra «verranno spesi per Lecco e i suoi cittadini». Poi le grandi opere, ma anche l’indotto dell’Expo. Fin troppo facile: Castelli è viceministro alle Infrastrutture ed è sua la delega per l’Esposizione universale del 2015 a Milano. Detto fatto e scritto sui cartelloni elettorali: «I sindaci spendono molto del loro tempo a cercare di interloquire con ministri e ministeri, con spreco di tempo e denaro». A lui basterà interloquire con se stesso: «Con un sindaco viceministro i grandi temi di Lecco saranno all’attenzione diretta del governo in tempo reale». Seguono gli esempi, dalle opportunità di Expo «per la nostra terra» a quei 130 milioni di fondi che il Cipe «grazie a me» ha stanziato per la sospirata Lecco-Bergamo, là dove, tradotto in gergo castelliano, il Comitato interministeriale per la programmazione economica diventa «il rubinetto dei fondi pubblici». Senza contare che pure in Regione la città, promette il viceministro, avrà le spalle coperte, non fosse altro che il governatore Roberto Formigoni non solo è lecchese, ma di Castelli è pure ex compagno di liceo classico. Tutto torna insomma e che importa se i detrattori dicono che un sindaco per essere efficiente debba farsi vedere nel Comune che amministra. Castelli ha dato una bracciata più forte: «Ma davvero un sindaco che sta in ufficio da mattina a sera può risolvere tutti i problemi? La mia lunga esperienza mi dice di no: oltre alle idee serve la possibilità di realizzarle, e cioè la spinta giusta nei Palazzi che contano. E io questa spinta posso darla». A sostenere la nuotata controcorrente di Castelli in riva al lago sono arrivati almeno due ministri. Roberto Maroni, leghista alla guida del Viminale, e Michela Vittoria Brambilla, che è titolare di quel Turismo su cui Castelli vuol puntare e che soprattutto è nata in questa provincia, a Calolziocorte. Del resto la cifra della campagna elettorale è stata questa, sguardo locale su temi nazionali e viceversa, fra un’intervista sui pendolari e una sulla questione morale, strategia esemplificata da quella proposta che fece qualche mesi fa, quando disse che la colonna sonora di Expo dovrebbe affiancare le melodie di Ennio Morricone ai canti dialettali di Davide Van de Sfroos, per «fondere lo spirito nazionale e quello lombardo».
Il resto sono schermaglie da campagna elettorale: Castelli che accusa Brivio di predicare bene e razzolare male dopo quell’invito al voto che il Pd inviò dal fax di un Comune limitrofo, Brivio l’ex operatore sociale che accusa Castelli di demagogia per la proposta di utilizzare i detenuti per la manutenzione del verde urbano.

Scala le montagne e gareggia con la vela, Castelli. Sport utili per uno che deve risalire da Roma al lago. L’ultimo appello lo ha fatto citando il Mario Marenco di Alto gradimento: «Votate per chi volete ma votate per me».

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