Raccontano gli esuli che basta aver letto un volantino per essere accusati di «collusione con gli imperialisti» e venire uccisi pubblicamente da un plotone di esecuzione. Raccontano gli esuli che quando le budella si torcono per la fame, i ragazzini prendono un mucchio di terra e la inghiottono per tentare di colmare il buco. Mentre da Pyongyang il regime continua a diffondere le immagini di un popolo in lacrime per la morte del dittatore Kim Jong-il e mentre un altro regime, quello cubano, dichiara tre giorni di lutto nazionale in segno di tributo al «compagno», a piangere, per la fame o per le persecuzioni di un regime spietato, sono soprattutto loro, bambini e dissidenti politici, vittime di un regime spietato che mentre investiva sui piani nucleari, toglieva al «popolo» non solo la libertà, ma anche il cibo.
Benvenuti in Corea del Nord, dove il Medio Evo non è ancora passato, dove la folle dittatura di ispirazione stalinista della dinastia Kim prevede che il cibo venga razionato per legge, ma dove lo Stato che propaganda la «juche», lideologia dellautosufficienza lanciata dal «Presidente eterno» Kim-il-Sung negli anni Cinquanta, ha lasciato che negli ultimi dieci anni tre milioni di persone morissero di fame e permette oggi che altre 22 milioni sopravvivano con 200 grammi di grano al giorno, ben al di sotto dei pur ridicoli ma «garantiti» 700 grammi e praticamente pari a meno di 500 calorie al dì. Sotto i cinque anni di età - dice lOnu - un bambino su tre è fortemente malnutrito.
Non solo fame. I coreani vivono nel terrore di finire nel mirino del regime, affannati a dimostrare la loro lealtà, nel timore di venire accusati di reati politici - complotto o alto tradimento - e di restare vittime di esecuzioni sommarie, semplici «sparizioni», o addirittura «incidenti stradali» attraverso i quali Pyongyang si sbarazza dei cittadini scomodi.
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