Gian Marco Chiocci
nostro inviato a Catanzaro
Tutti contro uno, uno contro tutti. Nel verminaio calabrese preso di petto dagli ispettori del ministro Castelli, l’«uno» in questione è l’ex sostituto procuratore distrettuale Eugenio Facciolla, già impiegato a Catanzaro e ora impegnato a sgobbare, su sua richiesta, presso la procura di Paola. In origine sembrava dovesse esser lui la pietra dello scandalo sollevato da Domenico Pudia, procuratore generale presso la Corte d’appello locale. Ma alla fine dell’ispezione, delle audizioni, della visione degli atti, il «cattivo» Facciolla sospettato di inciuciare coi pentiti, di fregare le inchieste ai colleghi, di creare problemi interni e protestare a sproposito sulla scalata dell’aggiunto Mario Spagnuolo, da carnefice s’è ritrovato vittima. Dopo aver sfogliato le anticipazioni del Giornale sulla relazione degli 007 ministeriali, ieri ha dichiarato all’Ansa: «Ho sempre confidato e confido tuttora nell’oggettiva valutazione degli atti e dei miei comportamenti, sempre seri, legittimi e trasparenti, una caratteristica che mi ha sempre contraddistinto».
Le indiscrezioni sulle conclusioni dell’ispezione a Catanzaro delineano un quadro a dir poco agghiacciante. I gravi addebiti mossi inizialmente a Facciolla, censurati uno per uno dagli 007 di via Arenula, spaziano dalla gestione dei pentiti alla correttezza nel rapporto coi colleghi. Pescando a caso dal mazzo delle accuse vi è ad esempio la violentissima querelle su un noto boss della ’ndrangheta diventato collaborante, tal Giorgio Cavaliere, che a un certo punto racconta a Facciolla (e al pm Francesco Minisci) di come un altro pm di Catanzaro, Vincenzo Luberto, ha stravolto - sono parole del pentito - le sue dichiarazioni. Frasi gravi, da maneggiare con cura, ovviamente da verificare. Così Facciolla prende e passa la trascrizione dell’interrogatorio al procuratore capo, Mariano Lombardi, per le incombenze del caso che prevedono anche l’inoltro del fascicolo a Salerno, distretto competente sui magistrati di Catanzaro. Luberto intanto respinge con sdegno ogni accusa e, fra una precisazione stizzita e una memoria difensiva, adombra sospetti proprio su Facciolla sostenendo, fra l’altro, che ha fatto trasferire il pentito impedendo così l’attività di intercettazione in cella.
Nel frattempo succede di tutto. Una copia del verbale di Cavaliere viene trovata nella cella di un grosso criminale ristretto in regime di 41 bis; la Camera penale inizia a parlare di collaboratori che si mettono d’accordo in una caserma dei carabinieri; il boss Carmine Chirillo chiacchiera in carcere di un’inchiesta di Facciolla coperta dal segreto istruttorio sui lavori dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, inchiesta di cui si è fatto incautamente cenno nel documento di applicazione del magistrato Luberto alla Dda. Intanto i veleni si spargono, cresce la tensione tanto che il procuratore generale Pudia decide di girare le esternazioni del pentito Cavaliere al ministro della Giustizia e al Csm censurando l’operato di Facciolla che - secondo l’alto magistrato - avrebbe dovuto interrompere l’interrogatorio e procedere in tutt’altro modo.
Altro casus belli è la trattazione di un secondo pentito, Antonio Di Dieco, «gestito» sempre da Facciolla che un bel giorno viene arrestato nella località protetta dai colleghi pm Curcio e Canaia sullo sfondo di ulteriori addebiti mossi da più parti a Facciolla tacciato di aver duplicato indagini, autoassegnandosele, e di aver fatto pasticci coi verbali di vari pentiti. Un sostituto esuberante questo Facciolla - osserva Pudia - in contrasto con avvocati, colleghi locali e lontani. È proprio così? Gli 007 di via Arenula chiedono in giro fra chi ha lavorato con lui. Il pubblico ministero Salvatore Dolce, non conferma. Idem Giovanna Mastroianni, altra toga impegnata a Catanzaro. C’è chi sta con Facciolla e chi dichiaratamente contro. Fra chi si lamenta perché avrebbe invaso le competenze altrui c’è il procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni. Ma qualcun altro va addirittura oltre, arrivando a scomodare il fratello di Facciolla, che ha la disgrazia di essere avvocato in uno studio che difende mafiosi. Siccome il gioco si fa duro, il Facciolla magistrato reagisce con la stessa moneta. Fa presente che il parente stretto si occupa di civile e non di penale, e che se proprio si vuol affrontare il capitolo delle parentele scomode, che si faccia. C’è l’imbarazzo della scelta. L’elenco che fa di avvocati e magistrati legati da interessi comuni e rapporti di familiarità diretta o acquisita, è imbarazzante, senza fine, da intervento immediato del Csm: figli, mogli, sorelle, cugini, zii, tutti insieme appassionatamente sotto lo stesso distretto giudiziario. Fa nomi e cognomi, roba da brivido.
Ma c’è di più. Fra i grandi dettrattori del Pm scomodo, le audizioni dei protagonisti fanno emergere alcuni avvocati di Cosenza (uno dei quali legato a Franco Piperno, storico leader di Potere operaio) particolarmente agguerriti nel denunciare presunte irregolarità di Facciolla. Sono nomi che tornano spesso negli accertamenti degli 007 che sono andati a spulciare vecchie documentazioni inviate al Csm e al ministero della Giustizia laddove l’attuale capo della procura di Catanzaro, Mariano Lombardi, censurava ferocemente l’operato di un gruppo di legali nonché dell’allora sostituto anziano di Cosenza, Mario Spagnuolo. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti di Catanzaro: quel che di male Lombardi pensava di Spagnuolo, oggi è cosa superata.
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