Questanno leconomia americana, che pure gode di uno stato di salute meno brillante che nel 2004, crescerà del 3,6%: il triplo dellarea euro. Sempre questanno la Cina, anchessa in lieve ripiegamento rispetto allanno passato, avrà una crescita economica del 9%: sette volte e mezzo lEuropa. Queste notizie, che lOrganizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ci ha fornito nelle scorse ore nel suo Rapporto primaverile, avranno di certo poco spazio sulla stampa italiana, dove invece ci aspettano titoloni sulla recessione del nostro Paese. LOcse stima infatti che questanno il nostro prodotto interno lordo decrescerà dello 0,6% rispetto al 2004. E prevede che, a causa di questo rallentamento, il deficit pubblico arriverà al 4,4% del prodotto: ben oltre le regole del Patto di stabilità europeo.
La citazione delle norme di bilancio europee non è casuale. Elaborate alla fine degli anni Ottanta - il Trattato di Maastricht è del dicembre 1991 - quando la globalizzazione era un argomento da futurologi, queste regole rappresentano oggi una sorta di Totem di fronte allavanzata impetuosa delle economie emergenti. Ma basta un Totem ad esorcizzare il furore economico asiatico? Basta per essere competitivi con Paesi, come gli Stati Uniti, che continuano a crescere a tassi tripli rispetto a quelli europei? Domande che appaiono legittime, anche se «scismatiche» rispetto al pensiero dominante che vede nelle disposizioni del Patto di stabilità lancora sicura per leconomia del vecchio continente. Unancora che dovrebbe metterci al riparo dalle tempeste. Unancora che, forse, ci impedisce di muoverci.
Sarebbe sbagliato attribuire a Bruxelles, intendendo la capitale belga come simbolo dellimmenso corpus regolatorio europeo, colpe di altri. Ma sono le cifre - anche quelle dellOcse - a condurci verso pensieri poco ortodossi. Lasciamo stare lAsia emergente, che cresce a livelli tanto elevati da lasciarci senza fiato, ma che deve recuperare secoli darretratezza ed opera perciò in totale deregulation. Pensiamo a Paesi avanzati come il Giappone: il deficit pubblico a Tokio è pari al 6,9% del pil, ma nessuno mette in dubbio la solidità del Paese, che comunque cresce a ritmi analoghi a quelli europei. Pensiamo a Paesi europei, ma non dellarea euro, come il Regno Unito che naviga oltre il limite del 3% nel disavanzo ma la cui economia viaggia a livelli doppi rispetto ad Eurolandia. Pensiamo infine agli Stati Uniti. LOcse stima per gli Usa una crescita 2005 del 3,6%, benché il disavanzo federale sia previsto dal Fondo monetario al 4,4% del prodotto. Cinque anni fa il bilancio era in avanzo dell1,3%. Pienamente sovrana nel proprio Paese, lamministrazione americana ha deciso di tornare al deficit per finanziare spese di sicurezza interna e missioni militari. Col tempo il disavanzo tornerà sotto i livelli di guardia, al 2,9% nel 2010 secondo le previsioni del Fmi.
LEuropa ci assicura che la crescita economica è più solida in condizioni di stabilità finanziaria. Manca tuttavia la controprova di questa affermazione teoricamente ineccepibile, visto che la crescita non cè. LItalia è in recessione, ma la Francia e la Germania davvero non se la passano bene. Sei Paesi sui dodici a moneta unica, ha ricordato laltro ieri il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet, non rispetteranno nel 2005 il limite di disavanzo previsto dal Patto di stabilità. Fra questi, la prima, la seconda e la terza economia dellEurozona. Una riflessione su queste notizie, dalle parti di Bruxelles, forse sarebbe utile. Sarà proprio il caso Italia a rappresentare la prima verifica pratica della riforma del Patto di stabilità raggiunta nel marzo scorso dai capi di Stato e di governo europei.
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