Politica

IL CATTIVO PROFESSORE

Romano Prodi non ha avuto nemmeno il coraggio di Zapatero, che, in campagna elettorale, prima dell'11 marzo 2004, aveva detto che, se avesse vinto, avrebbe ritirato il contingente spagnolo dall'Irak. Ha scelto l'ambiguità necessaria a fargli vincere le primarie ma che si è trasformata in un insulto alla Costituzione, ai vertici dello Stato (Quirinale, Parlamento, Governo) e ai nostri soldati impegnati in Irak, che non sono in villeggiatura e hanno già versato molto sangue. E ha sorvolato sul quadro di riferimento dell'Onu che ha dato una legittimazione alla presenza multilaterale della coalizione in funzione del passaggio dell'Irak da un regime dittatoriale a un autogoverno fondato sulla volontà del suo popolo, come sta avvenendo pur tra grandi difficoltà.
Queste le sue parole: «Se il centrosinistra andrà al governo, i militari italiani saranno ritirati come contingente di occupazione. Il nostro compito sarà di aiutare la ricostruzione del Paese». Ora, definire «di occupazione» il nostro contingente, è contrario non solo al mandato votato dal Parlamento su proposta del Governo e approvato dal Capo dello Stato, ma, se si trattasse di «occupazione», sarebbe una violazione della Costituzione, che all'art. 11 vieta all'Italia il ricorso alla guerra e quindi a uno degli esiti di questa, qual è l'occupazione di un territorio «nemico». Sarebbe come dire che Governo, Camere e Quirinale hanno agito contro la Costituzione. Verrebbe da chiedersi: «Ma chi si crede di essere questo Prodi?». Torna in mente quando, da presidente della Commissione europea, definì «stupido» il Patto di stabilità.
Prodi, con questa affermazione, ha fatto felici Bertinotti, Cossutta e Pecoraro Scanio, cioè l'ala sinistra della sua Unione, e qualche catto-pacifista dell'area centrista. Ma sia Bertinotti sia Pecoraro Scanio si presenteranno alle primarie in competizione con Prodi e i loro sostenitori non gli cederanno voti. Anzi, esamineranno al microscopio le dichiarazioni del candidato-premier e saranno i primi a cogliere l'ambiguità. Perché la parola-chiave è «come». Ovvero: Prodi ha proposto un ritiro virtuale, un cambio di etichetta: ha lasciato capire che sarebbe disposto a fare restare i nostri soldati per «aiutare la ricostruzione del Paese». Eppure ha costretto l'Unione a votare contro il rifinanziamento della missione.
Ne segue che Prodi ha voluto prendere, con una dichiarazione ambigua verso tutti ma soprattutto verso i suoi - e questo è il punto più grave - due piccioni con una fava: dare soddisfazione all'ala sinistra (annunzio del ritiro) e rassicurare quella destra (intenzione di restare, ma sotto altra voce). C'è di che stare tranquilli su quello che metterà, nero su bianco, sul «programma» che sottoporrà agli italiani. Precisando il suo pensiero, ha detto: «Il compito che ci assumeremo, nel caso che la nostra coalizione arrivasse al governo dell'Italia, sarà esclusivamente finalizzato alla ricostruzione civile e materiale di quel martoriato Paese». In altre parole: votateci, fateci tornare al potere, poi faremo quello che ci pare. Ovvero il voto-delega, proprio come nella Prima Repubblica. Come è nel Dna della sinistra.
Ieri, a Bagdad, l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, capo di Stato Maggiore della Difesa, ha portato ai nostri soldati il «sostegno forte del Governo, del Parlamento, di tutti gli italiani». Un sostegno, ha precisato svelando tutta l'ambiguità delle parole di Prodi, che «non verrà a mancare nemmeno in futuro, in caso di formazione di un nuovo governo».

Perché i nostri soldati sono in Irak non per il centrodestra, ma per l'Italia e per l'Irak.

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