Il Cav declina? D’Alema lo dice da tredici anni

Il Cav declina? D’Alema lo dice da tredici anni

Caro Granzotto, coi primi frescolini sembra che la «Strafexpedition» anti Cavaliere stia battendo la fiacca. Secondo lei, cosa significa? Che lo stato maggiore di la Repubblica ha deciso di ripiegare per dedicarsi a cose più serie quale il marasma interno al Partito democratico o c’è da attendersi una nuova offensiva d’autunno con armamento diverso dalle ormai esauste escort?

È proprio così, caro Cavalieri: asserragliati nella ridotta di Largo Fochetti i repubblicones stanno sparando le ultime cartucce del loro arsenale di porcheriole assortite. Ma non creda che si perdano d’animo perché hanno già bella che delineata l’«exit strategy» (oggi va molto di moda, l’«exit strategy» ed io mi adeguo). Trattasi di questo: inutile insistere con le «parole di verità», inutile affaticarsi per trovare qualche escort che ammetta d’aver incrociato il Cavaliere alla Fiera degli «o bej-o bej», inutile diventar matti passando in rassegna la stampa delle Antille olandesi o dell’arcipelago della Molucche alla ricerca di un trafiletto, magari anche di una didascalia irriverentemente antiberlusconiana. Tanto, l’era Berlusconi è agli sgoccioli. Non c’è nemmeno più bisogno di spingere, di spallare: il mostro cadrà da sé perché è, nell’ordine: al tramonto, alla fine, in declino, al termine, in caduta, in regresso, in estinzione, in degrado. Come avrà letto, caro Cavalieri, anche Guido Anselmi, a capo di una agenzia di stampa che ha (dovrebbe avere) nella equidistanza la sua stessa ragion d'essere, s’è messo a fare il portatore d’acqua dei repubblicones. Annunciando dalle colonne del Pais, e ti pareva, che il Berlusca è nella sua fase finale. Capisco che uno si voglia far bello agli occhi dei sinceri democratici: la carne, si sa, è debole, figuriamoci il resto. Però, ecchediamine! Per dirla con quella vecchia volpe di Talleyrand, «pas trop de zéle». La parola d’ordine è dunque questa: il Cavaliere è kaputt. Che poi non è nemmeno farina del sacco dei repubblicones, ma di Massimo D’Alema. Costui, lo sanno anche i bambini, è accreditato come il più intelligente, il più brillante, il più sveglio fico del bigoncio della sinistra. Da quelle parti, le parti del bigoncio, si sostiene che abbia, oltre a un fiuto politico che al confronto quello di un pointer fa ridere, anche un sismografo piazzato dietro l’ampia e pensosa fronte. Ciò che gli permette di registrare ogni minimo frisson del Palazzo. E dunque di anticipare il corso degli eventi. Fu o non fu D’Alema a preannunciare la «scossa» di Ferragosto che avrebbe seduta stante mandato a gambe all’aria il Cavaliere? Fu. Non ci azzeccò? Capirai che novità. Pensi, caro Cavalieri, che questa storia della götterdämmerung berlusconiana D’Alema la tirò fuori nientemeno che nel 1996. Lo racconta Giampaolo Pansa: conversando col direttore dell’Espresso, Max il Tellurico sparò là e scusate i puntini, ma il linguaggio dalemiano è quello che è: «Berlusconi mi sta sul c... come tutti i settentrionali. È un c... ottuso. La sua stagione è finita». Tredici anni sono passati da quella sentenza.

Tredici volte tredici ne passeranno prima che D’Alema (e con lui i repubblicones) ne azzecchi una.

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