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Tra Cav e Fini ci perde Casini L’Udc può finire dimezzata

RomaAlla fine il famoso gioco del cerino tra Berlusconi e Fini brucia le dita anche a Casini. Già, perché nell’eterna partita a scacchi tra premier e presidente della Camera è subentrato anche il leader centrista. Un match che scotta, però. Corteggiato dal Cavaliere e lisciato dal capo del Fli, il leader dell’Udc inizialmente s’è fregato le mani, convinto di poter andare avanti con la politica del pendolo e la strategia del «decidere di non decidere». Peccato che all’interno del suo partito sia subito scoppiato un bubbone non indifferente, legato al suo deputato Saverio Romano ma non solo. È il caso di dire che questi gli ha proprio rovinato la festa di Chianciano Terme. Romano non è un parlamentare qualsiasi: lo chiamano «mister centomila preferenze», è segretario udiccino in Sicilia, è potentissimo ed ascoltato, è la vera cassaforte dei voti in una delle Regioni dove l’Udc conta di più. Ebbene lui, proprio nel giorno conclusivo della kermesse dell’Udc ha demolito la linea del segretario Pier Ferdinando. E di fatto spaccato il partito.
In sostanza ha detto: il premier non deve dimettersi e su questo è d’accordo la maggioranza dei dirigenti e degli elettori siciliani; l’ipotesi di un governo di responsabilità nazionale non sta in piedi; discutiamo su un’eventuale alleanza con il Cavaliere facendo un congresso; in un sistema bipolare l’Udc dovrebbe stare nel centrodestra; sulla giustizia Casini ha posizioni che mi preoccupano; finire in un contenitore assieme a Fini, che su tanti temi non la pensa come noi, sarebbe assurdo.
Soltanto pallido dissenso? Di certo è un punto di vista condiviso da molti udiccini. Dal senatore ed ex governatore siciliano Totò Cuffaro, per esempio; ma anche dall’ex ministro Calogero Mannino, «allibito» dalla richiesta di dimissioni del premier da parte di Casini. Pure a Mannino è venuta l’orticaria a sentir parlare di Fini: «Casini vuole aprire la crisi? Lo faccia. Ma non ha capito che la parola decisiva la dirà Fini». Ma soprattutto è sui temi di fondo che c’è molto che non va: «Casini auspica accordi trasversali sulle questioni etiche: così si tradisce Sturzo». E poi la graffiata: «La creazione di un’area di responsabilità è stata una sua proposta. La revoca?». Insomma, vade retro Fini e le sue nuove infatuazioni laiciste.
Si dirà: vabbè, è soltanto un gruppuscolo siculo. Mica tanto: a pensarla come Romano «è la stragrande maggioranza dei parlamentari eletti in Sicilia sia al Parlamento nazionale che a quello sicilano», hanno fatto sapere con una nota dieci degli undici deputati dell’Ars. Un bel grattacapo visto che la Sicilia è il patrimonio più cospicuo dell’Udc in termini di voti. Se su scala nazionale Casini alle ultime elezioni ha portato a casa il 5,7 per cento, sull’isola i centristi hanno sfondato con il 12,5 per cento. Con Pionati che gongola perché fuggì dall’Udc in tempi non sospetti: «Sono sull’orlo di una deflagrazione». Casini per Casini, insomma. «Casini si rasegni
Ma anche per Fini. Il quale, da ieri, ha due motivi in più per tremare: il primo è l’annuncio del repubblicano Nucara secondo cui starebbe per nascere un nuovo gruppo parlamentare pro Berlusconi; il secondo è che pezzi così «pesanti» del partito di Pier Ferdinando possano andare a sorreggere l’esecutivo del Cavaliere. E se Berlusconi riuscisse a dimostrare coi numeri, grazie all’eventuale diaspora udiccina, che i finiani non sono determinanti per la tenuta del governo? Brividi lungo la schiena: niente più logoramento, niente più forza contrattuale, niente più «terza gamba» della maggioranza, niente più «o si fanno i conti con noi o si cade». L’ira è esplosa attraverso il deputato finiano Nino Lo Presti che s’è lasciato andare: «Una parte dell’Udc siciliana è una zavorra zeppa di vecchie incrostazioni di potere di cui Casini farebbe bene a liberarsi», s’è sfogato. Una dichiarazione che trasudava livore e che non è piaciuta affatto al centrista siciliano. Lo Presti ha poi ammesso: «Dopo questo mio commento Romano mi ha telefonato per dirsi offeso con me. Non era mia intenzione offendere nessuno - ha aggiunto il deputato -.

Gli ho spiegato che ce l’avevo con un certo modo di agire e di essere “zavorra” in un momento in cui, invece, si dovrebbe pensare al futuro e alla rinascita di questo paese». Il problema è che su cosa sia il «futuro» e la «rinascita», Casini e Fini non la pensano affatto allo stesso modo e neppure tra le rispettive truppe si registra un idem sentire.

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