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Il Cav: «Con questa Costituzione un inferno fare nuove leggi»

RomaLa Carta? Va riscritta. E governare? È l’opposto del paradiso. Silvio Berlusconi torna a contestare lacci e lacciuoli burocratici, figli di quella Costituzione giunta all’età della pensione. E si lascia andare - dinanzi all’assemblea di Confartigianato - a un nuovo affondo in chiave istituzionale. Perché guidare l’esecutivo, «visto da dentro, è un inferno». Non tanto per colpa di «intenzioni o buoni progetti, che non mancano», ma per una «architettura costituzionale che rende difficilissimo trasformare progetti in leggi concrete». Lo Stato, è questo uno dei punti chiave, «si è sviluppato in maniera eccessiva», per via dei «tempi della burocrazia, della giustizia civile e penale», tanto da «prendere a noi cittadini il 50% di ciò che produciamo e dare molto di meno in termini di servizi».
Per capirci: «In Italia non c’è solo l’oppressione giudiziaria e fiscale, ma anche quella burocratica», che porta il nostro Paese a essere, in Europa, tra quelli «in cui è più difficile fare impresa». Un deficit con origini lontane, legato «in gran parte alla cultura comunista che dagli anni ’70 è stata dominante e che guarda con sospetto gli imprenditori», considerati «truffatori, evasori, sfruttatori». Un retaggio che attinge magari a una Costituzione «datata», in cui «si parla molto di lavoro e quasi mai di impresa, citata solo nell’articolo 41», dove però non figura la parola «mercato».
Cosa fare quindi? «Pensiamo a una legge ordinaria, ma serve anche riscrivere quell’articolo». Sul primo versante, il premier annuncia: «Ci impegneremo a far diventare legge entro l’autunno lo Statuto delle imprese, perché quello che va bene a loro va bene all’Italia». E «vogliamo arrivare a un nuovo sistema in cui non si debbano chiedere più permessi, autorizzazioni, concessioni o licenze, che per me sono un linguaggio e una pratica da Stato totalitario, da Stato padrone che percepisce i cittadini come sudditi».
Per dirla tutta, «sono passati 62 anni» dalla promulgazione della Costituzione, «nata in un momento in cui era forte la contrapposizione tra capitale e lavoro», tanto che «democristiani e comunisti dovettero trovare dei compromessi su ogni articolo». Ecco perché, rimarca Berlusconi, «mi chiedevo per quanto tempo un’impresa potrà vivere e crescere su compromessi di matrice cattocomunista. La risposta - continua il premier, rivolgendosi alla platea - datela voi!».
È una lunga disamina sullo stato di salute della Carta, dunque, quella espressa dal Cavaliere all’auditorium Parco della Musica, che scatena però una dura reazione nell’opposizione. «Berlusconi deve smetterla di attaccare la Costituzione», sbotta il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, che rintuzza: «Vi hai giurato sopra: se non ti piace, vai a casa». Per il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, invece, «solo nei modelli fascisti si può fare a meno delle regole costituzionali e del Parlamento». Insomma, «per lui è un impedimento, così come sarebbe stata per Mussolini».
Si torna a bomba, cioè al Cavaliere. Che dopo l’abbraccio con Emma Marcegaglia e l’ennesima battuta sul suo «no» a guidare lo Sviluppo economico («se non l’avessi avuto, avrei proposto anche a te di fare il ministro, ma ne parleremo in separata sede... », afferma Berlusconi, rivolgendosi al numero uno di Confartigianato, Giorgio Guerrini), l’inquilino di Palazzo Chigi ribadisce l’impegno del governo sul fronte tasse: «Il nostro scopo è ridurre la pressione fiscale, è nel nostro Dna, e su questo vogliamo impostare la riforma fiscale, semplificando tutte le norme e arrivando a un unico codice entro la legislatura».
Si passa al capitolo Abruzzo. «Abbiamo risposto bene dopo il terremoto e mi spiace che si getti fango sulla Protezione civile», premette il presidente del Consiglio, che poi rivendica: «Io non ho partecipato ad alcun appalto ma ho visto lavorare e in 390 appalti non c’è stata alcuna cricca, niente di meno che positivo». Tanto che «da parte degli imprenditori che hanno perso le gare, non c’è stata alcuna protesta». Si chiude con il tormentone avviato da Berlusconi con Angela Merkel.

«Mai l’Italia ha contato come conta oggi, anche per la politica del “cucù”, che è una politica di amicizia verso altri leader cui puoi chieder quello che vuoi, anche con una semplice telefonata».

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