Il Cav vede la trappola di dicembre

Fini aspetta fine anno, quando la Consulta potrebbe bocciare il legittimo impedimento. Centristi esclusivi dall'esecutivo ma proseguono i contatti per le amministrative

Il Cav vede la trappola di dicembre

Roma - Stanare i finiani. Incassata la frenata di Bossi sulla voglia di urne, Berlusconi ora pensa soltanto a come risolvere la grana del presidente della Camera. È motivatissimo a gettare sul tavolo il documento di cinque punti su cui chiedere la fiducia per poter andare avanti, nella speranza di non subire quanto subìto col disegno di legge sulle intercettazioni. Ma come evitare la strategia del Vietnam da parte dei futuristi? Sulla carta, sui decreti attuativi con cui saranno estese le competenze fiscali delle Regioni non dovrebbero esserci problemi così come sull’obiettivo di ridurre le tasse su aziende e contribuenti entro il 2013. Idem per il piano per il Sud e sul cosiddetto pacchetto sicurezza. I maggiori rischi arrivano sul solito fronte giustizia: separazione delle carriere dei magistrati ma soprattutto lodo Alfano e processo breve. I dubbi, su questa materia, sono tanti: i regolamenti della Camera, infatti, permettono di votare la fiducia al governo ma, paradossalmente, di affossare il provvedimento ad essa collegato. Incassata la fiducia, quindi, non è detto che i pasdaran finiani comincino a sollevare dubbi e perplessità nel tentativo di logorare il premier con la solita guerriglia. Magari non tutti visto che, ad esempio, il moderato Giuseppe Consolo ha già dichiarato papale papale che lui sul tema la pensa come il Guardasigilli Alfano («Il testo si fonda su un principio sacrosanto, e cioè che vi è un tempo che deve essere certo affinché un cittadino possa sapere se lo Stato lo ritiene innocente o colpevole»). Ma gli altri? Bocchino? Granata? Briguglio? Diranno che il testo va discusso, rivisto, migliorato; diranno che fa strage di processi, che è ad personam, che è un’amnistia mascherata, che non è una priorità e che, insomma, meglio aspettare. La celebre strategia del Vietnam con il solo scopo di cuocere il premier a fuoco lento. A quel punto si tratterà soltanto di capire come e quando tirarsi fuori dal gioco e imputare a Fini la responsabilità di una crisi di governo. Ma il dilemma è sui tempi. Fini ha tutto l’interesse ad aspettare il momento dello strappo definitivo. L’ideale, per il presidente della Camera, sarebbe attendere dicembre, che peraltro è dietro l’angolo, con la speranza che la Consulta bocci il legittimo impedimento. A quel punto il Cavaliere potrebbe essere scoperto di fronte alle bordate della procura milanese e si rischierebbe di andare al voto con un candidato premier se non condannato, in odore di condanna. Un bel pasticcio. Meglio farlo prima, quindi. Obbligare Fini ad un assunzione di responsabilità: «Ci stai o no?». Ma c’è da fidarsi del presidente della Camera? Per ora i sentimenti nei confronti dell’ex alleato sono pessimi. Il Cavaliere, all’orizzonte, vede le elezioni seppur ora scongiurate con le motivazioni sciorinate a Bossi durante il vertice di villa Campari: rischio astensione altissimo, mercati che potrebbero punire l’ingovernabilità italiana, esiti traballanti al Senato dove il premio di maggioranza su scala regionale potrebbe non garantire numeri certi a palazzo Madama.

E poi l’altra incognita: il ministro Tremonti, che molti dipingono come l’eterno uomo a bordo campo, potrebbe a quel punto giocare una partita tutta sua e presentarsi come una sorta di salvatore della Patria, in grado di far convergere ampie forze politiche. Senza dubbio la liaison con la Lega è solidissima e a quel punto l’incubo sarebbe una tenaglia Bossi-Tremonti da una parte e Fini dall’altra.

Così, anche se il premier ha assicurato a Bossi che non ci sarà alcun inserimento di Casini nella maggioranza perché gli elettori non capirebbero un governo retto anche da chi è stato sconfitto alle urne, i contatti con i centristi proseguono. Non per il governo attuale, certo, ma per degli accordi da siglare alle amministrative. E poi in futuro chissà.

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