Alberto Pasolini Zanelli
La gara per la presidenza del Portogallo non è stata un duello, ma semmai una corsa a cronometro. Gli altri si battevano per lonore del secondo posto e la tenue speranza di un ballottaggio che li avrebbe trasformati in finalisti. Lui, Anibal Cavaco Silva teneva locchio sulla lancetta delle percentuali, quasi sicuro di chiudere la partita al primo turno. Chiari i risultati man mano che arrivavano: sempre oltre il 50%, fino al 50,9% finale.
Un risultato in ogni caso notevole se si pensa che, fra laltro, prima di Cavaco Silva nessun candidato della Destra era mai stato eletto capo dello Stato a Lisbona. Primi ministri più duno (i conservatori, che in Portogallo si chiamano socialdemocratici hanno vinto la maggior parte delle elezioni legislative e lo stesso Cavaco Silva è stato alla guida del Paese per un decennio) ma presidenti no: la carica sembrava «prenotata» dalla sinistra e per la sinistra fin da quando, giusto trentanni fa, a Lisbona è tornata la democrazia a conclusione della parentesi pluridecennale della dittatura catto-conservatrice-militare di Antonio Salazar e poi di Marcelo Caetano.
Cavaco Silva rappresenta dunque nello stesso momento la rottura di una tradizione e il ritorno alla tradizione. Segnato questultimo da movimenti del pendolo molto più frequenti e rapidi. Due anni fa alla testa del governo di Lisbona cera Manuel Barroso, un «atlanticista» convinto, legato allAmerica al punto da ospitare nel «vertice delle Azzorre» George Bush, Tony Blair e il suo vicino spagnolo José Maria Aznar che praticamente annunciarono lattacco allIrak. Ma, in parte proprio a causa della impopolarità dellimpresa militare americana in tutta lEuropa, le elezioni europee segnarono uno scacco per i conservatori e preannunciarono una crisi di governo, da cui Barroso si salvò con un salto in avanti, succedendo a Romano Prodi alla testa della Commissione Europea. Lasciò il posto a un compagno di partito, che durò, come previsto, pochi mesi e alle elezioni successive vinsero i socialisti, guidati da un «uomo nuovo», José Socrates. Alla presidenza della Repubblica cera Jorge Sampaio e così si riformò un «asse» tutto socialista.
Destinato però a non durare, perché il termine di Sampaio scadeva e perché i portoghesi, nel frattempo, erano diventati ancora più scontenti. LIrak però è ormai un ricordo, ma la crisi economica è una realtà quotidiana. Il Paese, che nel primo decennio di adesione alla Comunità europea aveva fruito di generosi aiuti, li ha visti esaurirsi proprio nel momento in cui su uneconomia del tutto impreparata si è abbattuta la mazzata dellintroduzione delleuro, con conseguente esplosione della inflazione e una paralisi produttiva che ha fatto scivolare il Portogallo non solo allultimo posto fra i «vecchi europei», perfino dietro la Grecia, ma anche nei confronti di due soci appena arrivati, Malta e la Slovenia. Il mugugno si è rivolto adesso contro il governo socialista, mandando oltretutto in frantumi quel che era rimasto dellunità della sinistra, che si è presentato a queste presidenziali con cinque candidati in discorde concorrenza: il socialista Manuel Alegre, il comunista Jeronimo de Souza, il radicale Francisco Lousa, luomo dellestrema sinistra Antonio García Pereira e addirittura la vecchia gloria Mario Soares, che è tornato a scendere in lizza, presumibilmente per lultima volta, dopo avere compiuto 81 anni.
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