Cavalcata straordinaria Il Milan non è solo Kakà

P rovate a ricordare il Milan di un anno fa, giusto, giusto, dicembre del 2006 per intendersi, prima di pesare l’impresa del 2007 e valutarne la portata straordinaria. A quel tempo il Milan era ridotto più o meno così: un clamoroso ritardo in classifica, in parte giustificato dalla penalizzazione (meno otto) e in parte dalla mancanza di preparazione estiva tradizionale saltata per onorare il turno preliminare di Champions league; un paio di «buchi» nella rosa, in particolare nel ruolo di terzino destro (Cafu spremuto e con la testa altrove per motivi familiari) e in quello di attaccante (Ricardo Oliveira pagato a peso d’oro retrocesso a oggetto misterioso).
All’attivo solo la qualificazione agli ottavi di Champions league e la possibilità, colta al volo, di apparecchiare una dignitosa preparazione atletica con la settimana vissuta a Malta. Se uno prova a ricordare quel Milan così mal ridotto, non può che convenire sul fatto che il 2007 sia stato una trionfale cavalcata. E che a nessun altro team sarebbe riuscita una impresa del genere. Perché va bene vincere ad Atene, tipo estrazione del Superenalotto, ma ripetersi a Montecarlo contro il Siviglia, alla fine di agosto, nella Supercoppa e poi svettare sul tetto del mondo nel mondiale per club a Yokohama in Giappone, a metà dicembre, non è cosa del tutto ordinaria.
I precedenti in materia si perdono nella notte dei tempi, infatti. Per provare a capire il capolavoro del Milan e dei suoi eroi allora bisogna riflettere sulle tre mosse principali. La prima: il ricorso mirato e intelligente al calcio-mercato (gli arrivi di Ronaldo e Oddo). La seconda: lo spostamento di Kakà fisso dietro la prima punta per sfruttare il suo talento balistico. La terza: il recupero e l’utilizzo a tempo pieno di Ambrosini a centrocampo spostando in avanti, dietro la punta e Kakà quel Seedorf che si considera mezza punta a tutti gli effetti.
I premi del 2007 hanno celebrato Ricardo Kakà in modo ossessivo: è l’autentico valore aggiunto della squadra. Talmente riconosciuto dallo stesso gruppo dei mundialisti rossoneri che a nessuno dei suoi senatori è venuta voglia di protestare per la decisione presa da Berlusconi di moltiplicare i guadagni del brasiliano, al fine dichiarato di prolungargli il contratto fino al 2013 per sottrarlo così a ogni tentazione spagnola (leggi Real Madrid).
Ma non è Kakà l’isolata spiegazione dello strepitoso 2007 vissuto dal Milan. C’è dell’altro. Molto altro. A cominciare dalla pasta di alcuni esponenti di Milanello cresciuti alla scuola dei sette comandamenti di Berlusconi (primo: vincere e convincere; secondo: essere padrone del campo e del gioco; etc.) per finire all’abilità consumata del suo manager principale, Adriano Galliani.

Qualunque altro club, nelle settimane più complicate e malinconiche, dinanzi alla serie delle sconfitte interne, avrebbe messo in discussione l’allenatore, spedito dietro il banco di accusa gran parte della rosa, assunto un paio di allenatori alternativi. Non l’hanno fatto. Si sono piegati come canne al vento quando infuriava la tempesta. E hanno rialzato la testa appena il vento ha smesso di soffiare.

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