da Roma
«Quindici, mi dicono che nel centrodestra cerano quindici assenti. Ora basta, voglio nomi e cognomi». Mercoledì sera, quando arriva a Villa Miani per la cena organizzata con i senatori di Forza Italia sono ormai le undici. Il Senato è stato impegnato fino a qualche minuto prima con il voto sul Dpef, approvato con 154 «sì» contro 147 «no». E Silvio Berlusconi è furioso. Perché, sbotta rivolto ai primi senatori che gli si fanno incontro, «abbiamo perso unaltra occasione». «Incredibile», chiosa quasi sconsolato. Renato Schifani, capogruppo azzurro a Palazzo Madama, fa di conto e riporta i numeri alle loro giuste proporzioni. «Gli assenti - dice a Berlusconi - erano otto, di cui uno giustificato perché colpito da un aneurisma». Certo, ammette, «quei sette assenti sarebbero stati sufficienti a mandare la votazione in parità» (154 a 154). Con una conseguenza di non poco conto: la risoluzione di maggioranza sul Documento di programmazione economica e finanziaria che indica le linee guida della prossima Finanziaria non sarebbe passata. Insomma, un terremoto politico.
Così, ci sta che Berlusconi reagisca con foga, prima decisamente infastidito e poi un po sconfortato, perché «non è la prima volta che perdiamo loccasione di mandarli sotto». Il Cavaliere chiede la lista degli assenti, e segue lelenco scuotendo la testa: Giuseppe Firrarello e Pasquale Giuliano di Forza Italia; Francesco Divella, Alfredo Mantovano e Giuseppe Valentino di An; Mario Baccini dellUdc; Giuseppe Leoni della Lega. Tra i senatori che non hanno votato cè pure il vicepresidente di Palazzo Madama Roberto Calderoli, giustificato anche lui visto che stava presiedendo la seduta.
Per i due azzurri (che non erano alla cena) si annunciano telefonate di fuoco, per gli altri lex premier non perderà occasione di far presente il problema ai rispettivi leader di partito. Ai suoi, Berlusconi lancia subito un appello: a Palazzo Madama occorre «serrare i ranghi». E ancora: «La prima cosa da fare, la più importante, è assicurare la presenza in Aula. Non dobbiamo lasciare nessuno spazio alla sinistra». Perché, spiega, «avremmo prevalso in diverse occasioni se fossimo stati più presenti». Insomma, «da ora in poi è questo il nostro compito e tutti devono tenerlo presente».
Daltra parte, proprio sulla questione delle assenze della Cdl al Senato, qualche giorno fa si era aperta una dura polemica tra Schifani e Baccini. Con il primo a puntare il dito sul voto della scorsa settimana sui presupposti di costituzionalità del decreto Bersani-Visco, passato per cinque voti ma con altrettante assenze nel centrodestra (anche qui in caso di pareggio il testo non sarebbe passato). Tra cui quella di Baccini, a Londra per impegni istituzionali al seguito del presidente del Senato Franco Marini. «Si poteva evitare - aveva detto Schifani - visto che non si è mai visto un vicepresidente che va al seguito del presidente».
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